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Memorandum Italia-Libia: una mano sugli occhi

In 3 sorsiIl Memorandum d’intesa (MOU) tra l’Italia e la Libia si è rinnovato il 2 novembre per altri tre anni. Nel silenzio, o quasi. Infatti, l’accordo, deputato principalmente a combattere l’immigrazione illegale nel Mediterraneo centrale, ha prodotto più danni che benefici, come ci ricorda la società civile scesa in piazza a fine ottobre per chiederne l’annullamento o la revisione.

Alle urne per un nuovo Kazakistan?

In 3 sorsi – Le elezioni presidenziali anticipate in Kazakistan vedono la riconferma di Tokayev, impegnato in un percorso di riforme per il Paese, nonostante le tensioni interne e internazionali.

La lotta egiziana contro l’ISIS nel Sinai

In 3 sorsiImpegnato nell’organizzazione della ventisettesima Conferenza annuale dell’ONU sul clima – la Cop27 di Sharm el-Sheikh – l’attenzione degli apparati di sicurezza egiziani verso la penisola del Sinai rimane alta. L’instabilità della regione, dovuta principalmente alle attività del ramo egiziano del cosiddetto Stato Islamico, preoccupa non poco il regime del Cairo, che cerca di combattere il fenomeno, con risultati modesti.

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1. SINAI: L’ISIS NON È MAI MORTO

Militanti del cosiddetto Stato Islamico hanno ucciso domenica 6 novembre un ufficiale dell’esercito egiziano e tre membri di una milizia filogovernativa nel Nord Sinai che collabora attivamente insieme all’intelligence e alle forze di polizia del Cairo per contrastare la presenza islamista nella regione. Il colonnello Assem Mohamed Essameldin, a capo del celebre battaglione 103 delle Sa’ka Forces (Thunderbolt Forces) è morto per le gravi ferite riportate a seguito dell’esplosione di un ordigno IED (Improvised Esplosive Device) nel villaggio di Gelbana, vicino al Canale di Suez, a poco meno di 500 chilometri dal summit COP27 a Sharm el-Sheikh, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che quest’anno fa tappa nella località turistica nel Sud del Sinai. Si tratta del terzo comandante del 103esimo Battaglione Thunderbolt a essere ucciso nella difficile regione del Sinai del Nord, dopo i colonnelli Ali Hassanein e Ahmed Mansi, caduti rispettivamente nel 2016 e nel 2017. Un duro colpo per il regime di Abdel Fattah al-Sisi, impegnato nel contenimento del gruppo terroristico nella penisola dell’Egitto orientale anche attraverso il coinvolgimento di milizie tribali locali in imboscate e raid contro i militanti Isis. 

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Fig. 1 – Militari egiziani portano la bara di un soldato, ucciso il giorno prima nella penisola del Sinai da un attacco dello Stato Islamico, Il Cairo, 8 luglio 2017

2. UNA REGIONE INSTABILE

Cerniera tra Africa e Asia e incastonato tra Mar Mediterraneo, Canale di Suez e confine israeliano, il Sinai vive una situazione di perenne instabilità dovuta alla presenza della branca egiziana dell’Isis, Wilayat Sinai (WS). Attivo prevalentemente nella parte settentrionale, WS ha sfruttato il vuoto di potere creato a seguito dell’ondata della Primavera Araba che nel 2011 ha portato alla deposizione di Hosni Mubarak. Attentati terroristici, imboscate ai soldati governativi, attacchi deliberati a civili e minoranze religiose, agguati alle tribù sospettate di collaborare con le forze di sicurezza egiziane: in questi anni l’Isis di stanza nella penisola orientale dell’Egitto ha impiegato tattiche già utilizzate in Siria e Iraq come il terrorismo urbano e la guerriglia per condurre la sua guerra asimmetrica contro il potere centrale, adesso incarnato dal regime di al-Sisi. Secondo alcune valutazioni di intelligence i membri del WS si aggirerebbero intorno a 1.500 unità, anche se l’esatta composizione del gruppo è sconosciuta, così come la sua struttura organizzativa. Tuttavia gli studiosi concordano sulla capacità dell’Isis di operare in modo molto efficace nel Paese, con una notevole potenzialità operativa e di coordinamento. Recentemente al-Sisi ha parlato di più di 3.500 morti dovuti agli attacchi terroristici da parte dei militanti islamisti, mentre nel 2017 WS ha rivendicato l’attacco più letale nella storia moderna dell’Egitto, quando una bomba in una moschea nel giorno della preghiera fece più di 300 morti.

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Fig. 2 – Centinaia di morti dovute a un attacco terroristico nella moschea di Al-Arish, nel Nord Sinai, 24 novembre 2017

3. TRA REPRESSIONE E SVILUPPO: COME L’EGITTO CERCA DI COMBATTERE L’ISIS NEL NORD SINAI

La strategia egiziana per combattere le attività terroristiche del gruppo affiliato al cosiddetto Stato Islamico è duplice. Da un lato il Governo egiziano ha condotto sistematiche operazioni di repressione e contenimento del fenomeno, attraverso tattiche di controguerriglia iniziate con l’Operazione Eagle già nel 2011. Da allora le campagne militari del regime mirano a “sradicare i terroristi” e “proteggere la società egiziana dai mali del terrorismo ed estremismo”, secondo il linguaggio degli apparati statali. Nel 2018, dopo un attentato alla moschea al-Rawda, al-Sisi ha ordinato una vasta operazione che ha coinvolto forze navali, terrestri e aeree non solo nella Penisola del Sinai, ma anche nelle Valli del Delta e del Nilo e nel deserto occidentale, dispiegando una forza di 88 battaglioni e 42mila soldati. Una strategia di antiterrorismo che, oltre a gettare ombre sull’operato delle forze di sicurezze egiziane, accusate di uccisioni sommarie ed extragiudiziali, non ha portato ai risultati sperati. Le violenze indiscriminate perpetrate dai militari governativi anche contro chi era solo sospettato di connivenza coi militanti islamisti costituiscono un atto di vendetta che mal si concilia con la necessità di adottare una strategia di prevenzione di lungo periodo. Inoltre, come accaduto in Siria e in altre “nuove guerre”, la violenza settaria e indiscriminata utilizzata nelle operazioni antiterroristiche costituisce un terreno fertile per jihadisti e islamisti, i quali si nutrono del sentimento di rivalsa che inevitabilmente cresce a dismisura tra la popolazione. Per questo motivo, al-Sisi ­– accanto al mai abbandonato utilizzo dell’apparato repressivo – ha inaugurato un nuovo piano di investimenti economici e sociali da 31miliardi di dollari da attuare nella Penisola del Sinai, con l’obiettivo di attrarre nuovi residenti anche attraverso la creazione di nuove opportunità lavorative.

Vittorio Maccarrone

Immagine di copertina: Photo by Peggy_Marco is licensed under CC BY-NC-SA

Migranti nel Mediterraneo centrale: l’emergenza che non c’è

In 3 sorsiIl blocco delle navi ONG Humanity 1, Ocean Viking, Geo Barents e Rise Above con a bordo un migliaio di naufraghi, ha riacceso i riflettori sulla gestione migratoria in Italia e in Europa tra securitizzazione e assenza di una visione umanitaria.

Australia, il nuovo multilateralismo di Albanese

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Analisi Si è concluso negli scorsi giorni il G20 di Bali. Com’era prevedibile, i lavori del summit hanno ruotato quasi internamente attorno al conflitto in Ucraina e i leader mondiali hanno approfittato dell’occasione per intensificare la pressione sulla Russia per porre fine alla guerra, soprattutto dopo la crisi lampo dei missili caduti in Polonia. Ma il vertice ha visto anche molti incontri bilaterali e l’Australia è stata grande protagonista di essi.

Deboli equilibri nel Mar Cinese Meridionale

In 3 sorsiRischiano di peggiorare i già precari rapporti tra Cina e Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale a causa di un intensificarsi delle esercitazioni militari americane nell’area rispetto al 2021. Un incremento che spesso è stato inquadrato all’interno di una precisa strategia di supporto statunitense all’isola di Taiwan.

US-Pacific Island Country Summit: punto di svolta o mossa tardiva?

In 3 sorsi Joe Biden, in un Summit storico, chiama a raccolta i leader degli Stati del Pacifico. L’obiettivo: rinsaldare vecchie alleanze, crearne nuove e fermare l’avanzata di Pechino nell’area. Quali saranno gli effetti a medio e lungo termine?

1. OCCHI PUNTATI SUL PACIFICO

La sicurezza dell’America e, francamente, del mondo intero dipendono dalla sicurezza delle Isole del Pacifico. Così il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden si rivolge ai 12 dignitari degli Stati Insulari, durante il primo storico US-Pacific Island Country Summit. Una frase a forte impatto, che fa eco nelle testate giornalistiche internazionali. L’incontro alla Casa Bianca sottolinea senz’altro la volontà americana di tornare concretamente a operare nella regione, dopo anni di trascuratezza in ambito strategico. I due giorni di colloqui hanno portato a diversi fondamentali accordi con cui l’America punta a intensificare i rapporti regionali: il Pacific Partner Strategy, la Roadmap for a 21st Century U.S.- Pacific Island Partnership e, di particolare importanza, la Declaration on the U.S.-Pacific Partnership. Gli sforzi americani passano anche sul piano economico, con uno stanziamento assistenziale totale di 810 milioni di dollari in 10 anni, di cui 180 milioni per la crisi climatica e la ripresa post-pandemica. Ma come è stato accolto l’esito del Summit dai Paesi ospiti? Senza dubbio, in maniera mista.

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Fig. 1 – Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e quello della Cina Xi Jinping, grandi rivali per l’egemonia nel Pacifico

2. RAFFORZARE LE ALLEANZE, AFFRONTARE I DISSENSI

Proprio l’adesione alla Declaration on the U.S.-Pacific Partnership ha visto un grande assente e oppositore: le Isole Salomone del premier Sogavare. Lo stesso Stato che nel febbraio 2022 ha siglato un fondamentale accordo strategico con la Cina, e che ha in qualche modo “risvegliato” gli Stati Uniti dal loro “sonno strategico” nel Pacifico. Sogavare, con una mossa inattesa, ha tentato inoltre di convincere gli altri partner a non sottoscrivere la dichiarazione. A dispetto di un grande successo geopolitico quale il riconoscimento delle Isole Cook (prima territorio neozelandese) come Stato sovrano, Biden si trova a fronteggiare una nuova sfida: la crisi del rapporto con le Isole Marshall. Tra i micro-Stati più importanti, l’arcipelago è stato oggetto di numerosi test nucleari da parte di Washington che ne hanno irrimediabilmente compromesso l’abitabilità. L’accordo bilaterale di sicurezza COFA con le Marshall scadrà nel 2023, e le stesse chiedono nuovi fondi come riparazione per i danni subiti, vedendo però l’opposizione americana. Questo è, per gli altri partner insulari, un esempio lampante della contraddizione della politica di Washington, che li spinge gradualmente a vedere Pechino come affidabile (e pacifica) alternativa. Le alleanze sono in continuo movimento.

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Fig. 2 – Il Segretario di Stato USA Anthony Blinken insieme al Presidente delle Isole Marshall David Kabua durante il summit di Washington, 29 settembre 2022

3. QUALI CONSEGUENZE FUTURE?

Lo U.S.-Pacific Island Country Summit si inserisce a pieno titolo nel quadro degli accordi che Washington sta attivamente portando avanti per contrastare Pechino: lo AUKUS, il QUAD e una più stretta collaborazione tra i Five Eyes. Di contro, la comunità internazionale si interroga sulle ripercussioni a medio e lungo termine di questa nuova politica assertiva. Con le Isole Salomone già apertamente schierate, la Cina potrebbe utilizzare l’influenza economica come leva al fine di riempire altri vuoti lasciati dagli Stati Uniti nel Pacifico. Si potrebbe assistere ad un ipotetico scenario in cui Pechino supporti le iniziative di sviluppo (sanità, investimenti) di altri micro-Stati, puntando nel contempo ad inserirsi in quelle realtà tramite l’influenza dei suoi corpi di polizia e militari, o chiedendo in cambio l’usufrutto di luoghi strategici o di attracco per la sua marina. Insieme alla sempre maggiore militarizzazione del Mar Cinese Meridionale e agli accordi di difesa tra Giappone, India e Australia, il Summit di Washington si potrebbe configurare come l’ennesimo tassello di un escalation che stenta a far passi indietro. Assisteremo ad un ritorno al dialogo tra le due potenze?

Leonardo Vittori

USS Russell (DDG 59) is moored in Majuro, Marshall Islands.” by Official U.S. Navy Imagery is licensed under CC BY

COP27: piccoli traguardi che nascondono un grande fallimento

In 3 sorsi – La COP27 si è dimostrata all’altezza delle previsioni che la ritraevano come un fallimento preannunciato e una vetrina per il regime autoritario di Al-Sisi. Gli scarsi risultati sottolineano come la strada per l’affrancamento dai combustibili fossili sia ancora lunga.

Xi e Biden al G20: prove di dialogo e problemi di fondo

Caffè lungo – L’incontro tra Xi Jinping e Joe Biden rappresenta un momento importante nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi, attualmente ai minimi storici dalla normalizzazione dei rapporti per via della pressione militare cinese attorno a Taiwan e della presunta ingerenza americana negli affari interni cinesi. L’intenzione a dialogare c’è ma gli ostacoli sembrano molti.

UE: la riforma del Patto di Stabilità

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Analisi La nuova proposta di riforma del Patto di Stabilità e Crescita da parte della Commissione Europea prova a semplificare le procedure e ad agevolare gli Stati, ma non tutti sono d’accordo.

Mondiali 2022 in Qatar: una scelta controversa

In 3 sorsiPer la prima volta nella storia, il campionato mondiale di calcio si disputa in Medio Oriente, in inverno e tre arbitri sono donne. Sembra avanguardia, ma la realtà in Qatar è un’altra. Migliaia di migranti lavoratori sono morti nella costruzione di infrastrutture e la comunità LGBT è perseguitata, fatti che, con gli occhi puntati sulla competizione, non sono passati inosservati.

La Russia prova a mediare (ancora) tra Armenia e Azerbaijan

Caffè lungo – Le ostilità tra Armenia e Azerbaijan costringono la Russia a guardare anche nel Caucaso. Mentre il fronte ucraino resta caldo, Putin tenta di mediare, ancora una volta, tra le parti, entrambe sue alleate.