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Sudan, quali influenze straniere nel conflitto civile? – Speciale Sahel

Speciale Sahel In Sudan operano da anni diversi attori internazionali, nel tentativo sia di favorire la stabilizzazione del Paese, sia di influenzarne le sorti e gestirne le risorse.

L’articolo è parte di uno speciale sul Sahel a cura del desk Africa subsahariana.

UNA PANORAMICA

Influenze di attori stranieri interessano diversi ambiti e settori del Sudan, da quello politico ed economico fino a quello militare. Seppur presenti, alle azioni di soggetti esterni non va però attribuita una influenza maggiore di quella che effettivamente esercitano, anche per non rischiare di dare spazio a dietrologie che vedono in ogni azione degli attori sudanesi (ma questo vale per qualsiasi contesto) la volontà e gli obiettivi di agenti esterni. Data l’importanza che il Paese ricopre a livello regionale, sia per posizione geografica che per la presenza di materie prime, è normale che i partners delle due fazioni in guerra, le forze di al-Burhan e di Hemetti, valuteranno le azioni da intraprendere per evitare di vedere la propria influenza ridimensionata. Per adesso tuttavia, la maggior parte degli Stati confinanti e delle Organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Unione Africana, non hanno preso le parti di nessuno dei due contendenti, ma si sono limitate a tentare di favorire il dialogo e una tregua. Appare abbastanza chiaro comunque, che la reale causa scatenante del conflitto, in questo caso, sia endogena e vada ritrovata nella rivalità e nei differenti obbiettivi tra i due gruppi di potere più importanti del Paese, quello dell’esercito regolare guidato da al-Burhan e quello delle Rapid Support Forces (RSF) guidate da Dagalo Hemetti, i quali sembra che numericamente, e per adesso anche nei risultati sul campo, siano abbastanza bilanciati.
Gli attori esteri inseriti nel contesto sudanese sono sia entità statali (Russia, USA, Egitto, EAU, Arabia, Turchia che agiscono attraverso canali diplomatici regolari), sia parastatali (il Governo di Haftar che controlla de facto la Libia orientale e la Confederazione Baggara, gruppo di etnia arabo-ciadiana da cui proviene Hemetti, che agisce tra il Lago Ciad e la regione sudanese del Kordofan), sia soggetti privati (Gruppo Wagner presente fino a due anni fa nel settore della sicurezza e tutt’ora attivo nello sfruttamento dei giacimenti minerari). Non dobbiamo pensare che questi interlocutori presi singolarmente, negli anni post rovesciamento di Al-Bashir, abbiano avuto relazioni solo con una delle due parti, è stato anzi molto spesso proprio l’opposto.

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Fig. 1 – Il Presidente e capo delle Forze Armate del Sudan, al-Burhan

RUSSIA E GRUPPO WAGNER

Le relazioni con la Russia ne sono un esempio. Storicamente, dall’indipendenza, il Sudan si è approvvigionato di armi dall’URSS prima e dalla Russia poi, mantenendo con essa sempre particolari rapporti diplomatici ed economici. Questa tendenza sudanese verso il campo russo venne acuita dall’inserimento, dagli USA nel 1993, del Paese tra gli “Stati sponsor del terrorismo”, una decisione che portò a dure sanzioni internazionali fino al 2020. Sempre nel 2020 a Karthoum è stata firmata un’intesa con il Cremlino che prevede la creazione di un centro logistico-navale utilizzabile dalla flotta russa a Port Sudan. Nel grande piano di Mosca che prevede, almeno parzialmente, la riconquista della sfera di influenza sovietica, l’Africa occupa un posto centrale e il Sudan rappresenta una tappa obbligata per una potenziale proiezione di potenza nell’Oceano Indiano occidentale. Contemporaneamente a questo forte legame con l’esercito regolare, anche le RSF hanno beneficiato di strette relazioni con la Russia, tant’è che Hemetti era a Mosca alla vigilia  dell’invasione dell’Ucraina. Le RSF  hanno legami in particolare con il gruppo Wagner, con il quale sfruttano le miniere di oro che viene poi esportato in Russia e negli Emirati Arabi Uniti. In conclusione la situazione per la Russia è ambigua: avendo forti rapporti con entrambe le parti in causa, per Mosca si potrebbe pensare a una situazione win-win in caso di vittoria netta di uno qualsiasi dei due contendenti (attualmente improbabile), ma per ora, e questa è una certezza, i disordini scoppiati sono solo un ostacolo al consolidamento russo nella regione del Mar Rosso.

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Fig. 2 – Al-Burhan e il Presidente Vladimir Putin durante il vertice Russia-Africa di Sochi, nel 2019

EMIRATI ARABI UNITI

Gli EAU hanno anche loro, come la Russia, stretti rapporti con entrambe le parti in causa. Essi sostengono con forza Al-Burhan, che infatti vi si recò in visita poco dopo la presa del potere nel 2019. Allo stesso tempo, però, hanno utilizzato, insieme all’Arabia Saudita, le RSF in Yemen, addestrandole, finanziandole e di conseguenza aumentandone grandemente le capacità militari. Per gli EAU il Sudan è un teatro di primaria importanza non solo per i rapporti con cui sono legati sia a Dagalo che Al-Burhan ma anche, come la Wagner, per l’estrazione mineraria che permette al piccolo Stato arabo di importare decine di tonnellate di oro ogni anno. Infine il Sudan è cruciale per la generale strategia di influenza nella regione del Corno d’Africa, area nella quale, gli EAU hanno 5 basi militari, di cui due nel Somaliland e una rispettivamente in Eritrea, Gibuti e isola di Socotra (Yemen).

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Fig. 3 – Al-Burhan e il Presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohamed bin Zayed al-Nahyan ad Abu Dhabi, febbraio 2023

EGITTO E TURCHIA

Egitto di Al-Sisi e Turchia di Erdogan sono due rivali che dal 2013, anno del colpo di Stato che depose il Presidente egiziano legato alla Fratellanza Musulmana, Moahmmed Morsi, hanno avuto relazioni a dir poco complicate e si sono ritrovati (e si trovano ancora oggi) in fazioni opposte in un contesto complicato come quello libico – solo negli ultimi due anni c’è stato un parziale disgelo diplomatico. Questi due Paesi, per motivazioni diverse, sostengono però entrambi il Governo golpista sudanese.
L’Egitto interpreta il partenariato del Sudan come necessario nella disputa che vede il Cairo e Khartoum contrapposti all’Etiopia sulla questione della Grand Renaissance Dam sul Nilo Azzurro. Questo imponente progetto potrebbe aumentare lo stress idrico dell’intero Sudan e soprattutto dell’area della foce del fiume Nilo, dove si stima abitino circa 40 milioni di persone, quasi metà della popolazione egiziana.
La Turchia è interessata a esercitare la propria influenza all’interno dell Sudan a causa della sua strategica posizione geografica che, come detto precedentemente per la Russia, è necessaria se si vuole essere capaci di ottenere una capacità di manovra nell’Oceano Indiano. A differenza della Russia però la proiezione di potenza turca è molto meno teorica e molto più pratica vista l’enorme influenza che il Ankara già possiede in Somalia.

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Fig. 4 – Al-Burhan e il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan

CONCLUSIONI

La caratteristica che dunque per ora emerge è, nonostante gli evidenti interessi dei numerosi attori prima descritti, la mancanza di nette fazioni a sostegno delle due parti in lotta. Non è escluso che con il protrarsi della crisi si possano aprire spiragli di azione maggiori per le potenze estere, margini che potrebbero essere capaci di eliminare le incertezze e spingere una delle parti a un piĂą deciso intervento sul suolo sudanese. Tuttavia per adesso sono in molti che avrebbero da perdere in una forte destabilizzazione di Khartoum, che potrebbe pericolosamente propagarsi agli Stati vicini.  

Daniele Atzori

Gli articoli dello speciale sul Sahel a cura del desk Africa subsahariana:

Photo by Kaufdex is licensed under CC BY-NC-SA

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  • Una panoramica sugli attori internazionali attivi in Sudan.

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Daniele Atzori
Daniele Atzori

Classe 1998, sardo. Studente di Scienze Storiche all’Università di Bologna, attualmente mi trovo in Svezia per conseguire un master in African Studies. Fin da piccolo appassionato di storia e geografia ho con il tempo sviluppato un forte interesse per l’area del continente africano e per i fenomeni migratori. Sto facendo i primi passi nel mondo della fotografia e pratico muay thai.

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