Analisi – Anche in Ucraina ogni operazione militare viene pensata e pianificata in ottica di come arrivare a far terminare la guerra, ovviamente a proprio vantaggio. Ma non sempre l’aspettativa corrisponde a realtà.
Scacco matto dell’Arabia Saudita: un nuovo assetto geopolitico nel Golfo?
In 3 sorsi – Le decisioni del Principe Mohammed bin Salman portano l’Arabia Saudita a un nuovo assetto geopolitico e a un riallineamento dei Paesi del Golfo che taglia fuori la supremazia degli Stati Uniti nella regione. Con nuovi accordi militari e commerciali, entrano in gioco Iran, Cina e Israele.
Leggi tutto: Scacco matto dell’Arabia Saudita: un nuovo assetto geopolitico nel Golfo?1. FINE DI UN’AMICIZIA CON GLI STATI UNITI? L’IRAN ENTRA IN GIOCO
Dopo anni di strategie comuni basate sulla lotta ad Al-Qaeda e allo smantellamento delle forze ribelli Houthi in Yemen con l’insediamento di Biden, la continuità delle relazioni diplomatiche USA-Arabia Saudita ha chiaramente registrato un cambio di rotta. Infatti, dopo il congelamento delle vendite di armi a Riyadh, il principe ereditario Mohammed bin Salman si è reso conto che non può più contare sugli Stati Uniti. Ad oggi l’Arabia Saudita sta rivalutando i propri piani strategici nel Golfo. I sauditi si sono sempre allineati alla campagna statunitense contro l’Iran, ma ora sembra che l’Arabia Saudita stia appoggiando l’ideale iraniano di creare un sistema efficace di difesa formato solo dai Paesi del Golfo.
A confermarlo è l’annuncio del progetto di Cooperazione marittima per la sicurezza delineato dall’Iran, che coinvolge Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman, Bahrain, Iraq, India e Pakistan. Lo scopo è quello di “liberare la regione dalle forze illegittime”, ovvero limitare il protagonismo americano raggiungendo un ulteriore indebolimento del ruolo di Washington in Medio Oriente.
Fig.1 – I Ministri degli Esteri iraniano e saudita durante una cerimonia ufficiale a Teheran, nel giugno 2023
2. I GRANDI PROGETTI DI ARABIA SAUDITA E CINA
Per decenni i legami economici tra Cina e Arabia Saudita si sono concentrati sulle esportazioni di greggio: Pechino, infatti, è la principale acquirente, assorbendo oltre il 20% delle esportazioni di petrolio del Regno. In occasione della China-Arab Business Conference tenutasi a Riyadh lo scorso giugno, l’Arabia Saudita ha confermato la nascita di grandi progetti d’investimento con la Repubblica Popolare e i Paesi del Medio Oriente. I due Governi hanno delineato un piano di cooperazione futura, anche in materia di energia, automobili, catene di approvvigionamento, comunicazioni, trasporti, settore minerario e finanziario, nonché nel turismo, definito il “nuovo petrolio“ dell’Arabia Saudita, con la firma di 26 accordi tra il Regno e le agenzie di viaggio cinesi. Questi accordi permettono alla Cina di rafforzare la propria credibilità nella regione sia come partner economico, sia come attore diplomatico. Anche in questo caso, in contrasto con il ruolo degli Stati Uniti.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – China-Arab Countries Summit in Arabia Saudita, dicembre 2022
3. ARABIA SAUDITA E ISRAELE: VERSO LA NORMALIZZAZIONE
Nonostante la critica questione palestinese, le relazioni tra Arabia Saudita e Israele si sono sempre basate su una sorta di reciproca tolleranza. Già l’anno scorso Benjamin Netanyahu aveva affermato che la pace con l’Arabia Saudita è un tassello fondamentale per raggiungere la pace con i palestinesi. Le decisioni del principe Mohammed bin Salman non sembrano discostarsi da questa idea. A tal proposito, l’Arabia Saudita, nel 2022, ha svolto il ruolo di mediatrice all’Iniziativa di pace araba (API) per la formalizzazione delle relazioni con Israele. Sullo stesso filo conduttore, le attuali politiche del Principe prevedono la volontà di avviare un processo di normalizzazione con Israele, in linea anche con gli Accordi di Abramo del 2020, che hanno sancito una nuova intesa, nonché cooperazione, con Israele e Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Marocco, sotto le direttive degli Stati Uniti.
Poiché l’Arabia Saudita è la custode del luogo sacro dell’Islam, la Mecca, e leader del mondo arabo sunnita e del mondo musulmano, un avvicinamento a Israele potrebbe creare tensioni con gli altri Paesi arabi, che potrebbero non vedere di buon occhio questa nuova complicità. Infatti, se, da una parte, l’avvicinamento contemporaneo a Tel Aviv e Teheran sembra essere contraddittorio, dall’altra evidenzia il cambiamento generale di rotta della politica estera dell’Arabia Saudita, che nell’attuale contesto geopolitico spinge per la distensione e per una maggiore cooperazione nella regione.
Erika Russo
Immagine di copertina: “29/06/2019 Bilateral Arábia Saudita” by Palácio do Planalto is licensed under CC BY
Cambiamento climatico: come Kirghizistan, Uzbekistan e Kazakistan affrontano la crisi idrica
In 3 sorsi – L’Asia Centrale è tra le regioni più colpite dal cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda la siccità, l’aumento delle temperature e la carenza di acqua. In alcuni casi, come ad Astana, in Kazakistan, e a Bishkek, in Kirghizistan, le Autorità hanno dovuto razionare l’acqua corrente nelle abitazioni e nelle attività produttive. La situazione è altrettanto critica in Uzbekistan, con la progressiva desertificazione del Karakalpakstan, mentre il Mar Caspio si sta ritirando al di sotto della soglia critica lungo la sponda kazaka.
La Shanghai Cooperation Organization e la guerra dei mondi
Caffé Lungo – Il 23° vertice SCO ha rappresentato un’ulteriore spinta per la formazione di un ordine mondiale più rappresentativo, equo e multipolare che rimane per ora arenato in un disordine globale le cui conseguenze, tra guerre e crisi climatiche, appaiono inquietanti. Gli incontri bilaterali tra vertici cinesi e statunitensi e la presenza di Kissinger fanno nascere un filo di speranza.
Sud Africa, Putin non andrà al summit BRICS: rischia l’arresto
In 3 Sorsi – È recente la notizia che Putin interverrà solo da remoto al summit dei BRICS che si terrà ad agosto. Sono stati mesi difficili per il Sud Africa, che avrebbe dovuto arrestare il leader russo qualora avesse partecipato in presenza al vertice. Intanto, la crisi energetica del Paese è diventata una crisi politica, e la cornice che ospiterà il summit non è delle migliori.
Euro 7: fragilità tedesca, fragilità europea?
In 3 sorsi – In Germania le aziende tedesche annunciano costi miliardari per adattarsi al cosiddetto Euro 7, la recente proposta di Regolamento della Commissione Europea. Ciò complica il raggiungimento degli obiettivi europei di emissioni zero entro il 2050.
Leggi tutto: Euro 7: fragilità tedesca, fragilità europea?1. UNA PARTITA EUROPEA
Nel settembre 2020 la Commissione ha annunciato di voler perseguire un traguardo climatico più ambizioso rispetto al passato. Il pacchetto Fit for 55 del 2021 vuole ottenere una riduzione di emissioni nette di almeno il 55% entro il 2030. In tal senso la proposta di regolamentazione lanciata a novembre 2022, rinominata Euro 7, consiste nel rinnovamento del parco mezzi a partire dal 2025. Rispetto all’attuale normativa Euro 6 essa supera i precedenti standard obsoleti, semplifica le norme sulle emissioni e migliora il controllo delle emissioni reali. Tuttavia il Consiglio dei ministri dei Trasporti dell’UE del 13 marzo 2023 ha registrato lo scetticismo di otto Stati Membri sulla proposta, poi ribadito da un documento informale pubblicato il successivo 29 maggio. La ragione di tale scetticismo è fondata sui costi che le industrie nazionali dei veicoli devono sopportare per allinearsi agli standard Euro 7. Come registra la Commissione stessa, però, è uno sforzo necessario, dal momento che il settore dei trasporti costituisce quasi il 20% delle emissioni totali di gas serra dell’UE.
Fig. 1 – Il Cancelliere tedesco Scholz in conferenza stampa a Bruxelles
2. DIATRIBE TEDESCHE
La Germania è uno degli otto Paesi del fronte anti-Euro 7. Allo stesso tempo, Berlino ha portato avanti con successo la propria istanza sui carburanti sintetici (e-fuel). Inizialmente era parso che la Germania avesse allentato il suo no ad Euro 7. Infatti le cancellerie europee contrarie alla regolamentazione europea – come quella ceca – avevano espresso soddisfazione per quanto riguardava l’accordo sugli e-fuel, visto come base per la revisione di Euro 7. Tuttavia questo risultato non ha frenato le tensioni interne al gabinetto di coalizione del cancelliere Olaf Scholz. Non a caso, da un lato il ministro dell’Ambiente Steffi Lemke (Verdi) insiste nell’introduzione della proposta entro il 2025, dall’altro lato quello dei Trasporti Volker Wissing (Liberale Democratico) cerca un’implementazione graduale. Quest’ultima istanza è alimentata dai malumori delle industrie automobilistiche tedesche. Come sottolineato da Alexander Vlaskamp, CEO di MAN, e Christian Levin (Traton), la regolamentazione della Commissione rischia di tradursi in un costo insostenibile per le industrie per adattare il parco mezzi. L’ACEA (Associazione europea dei costruttori di automobili) stima un aumento dei costi fino a 10 volte superiore rispetto ai calcoli della Commissione. In ultimo il rialzo ricadrebbe sui consumatori meno abbienti, già provati dall’attuale crisi inflazionistica.
Fig. 2 – Il cancelliere tedesco Scholz durante un intervento al Bundestag
3. UNA TRANSIZIONE INCERTA
La divisione interna tedesca sulla questione Euro 7 tende a confermare l’attuale debolezza della Germania come leader dell’UE. Ciò rappresenta un fattore di instabilità dentro l’UE, oltre che un segnale pericoloso per le sue ambizioni in termini di transizione ecologica. La posizione tedesca è rilevante, dato che la proposta di regolamentazione Euro 7 passerà a condizione che ci sia una maggioranza del 55% degli Stati Membri che rappresentino il 65% delle emissioni. Da Paese sviluppato e caratterizzato dal peso demografico più grande, la Germania rappresenta il maggior emettitore totale europeo in termini di volume di anidride carbonica. Nei prossimi mesi si terranno nuovi negoziati che potranno vedere probabilmente dei risultati concreti solo dopo le elezioni europee del 2024.
Lorenzo Avesani
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Wagner traballa in Libia, Roma teme il ritorno del caos
Analisi – È di nuovo centrale il tema della stabilità della Libia dopo che un bombardamento (con droni turchi?) ha colpito i miliziani russi del Gruppo Wagner in Cirenaica. Nonostante il tentativo di ribellione di Prigozhin, Putin non vuole rinunciare ai mercenari nel teatro africano. L’Italia sta a guardare e teme il ritorno del caos nell’ex Quarta Sponda.
Tunisia e UE: habemus intesa?
Ristretto – La Tunisia è il nuovo principale punto di partenza delle migrazioni verso l’Europa, e diventa, per questo motivo, di grande interesse per l’Unione Europea. Dopo un mese di scambi diplomatici, sembra si sia trovato un accordo.
Leggi tutto: Tunisia e UE: habemus intesa?Giugno è stato un mese di intense trattative tra l’Unione Europea e la Tunisia con l’obiettivo di limitare i flussi migratori in partenza dallo Stato nord-africano, che hanno superato per quantità quelli provenienti dalla Libia. L’11 giugno la Tunisia aveva accolto l’arrivo di Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte per un incontro con il presidente Kais Saied. Il fine dell’incontro era quello di porre le basi per una rinnovata partnership con il Paese arabo, con l’obiettivo – non celato – di trovare una soluzione ai crescenti numeri che riguardano la partenza di migranti subsahariani dal suolo tunisino.
Saied aveva ricevuto da parte del Fondo Monetario Internazionale (IMF) la proposta di un prestito da 2 miliardi di dollari, ma aveva deciso di rifiutarla a causa delle stringenti condizioni di austerità che la accompagnavano, come la vendita di compagnie di proprietà dello Stato. D’altra parte, Tunisi sembra molto più attratta dall’idea di un maggiore coinvolgimento europeo. L’UE teme che un peggioramento nelle condizioni economiche della Tunisia possa causare un ulteriore aumento delle partenze. È per questo motivo che durante gli incontri è stata delineata la proposta di un pacchetto di aiuti di 1 miliardo di euro per lo sviluppo di una partnership in materia di energia, sviluppo economico, commercio e migrazione, suddivisi in 900 milioni sotto la dicitura di “assistenza micro-finanziaria” per la ripresa economica e altri 150milioni da erogare immediatamente a supporto dell’attuazione delle riforme previste dall’IMF, sul quale la premier Meloni ha iniziato a fare pressione con l’obiettivo di andare incontro alla posizione tunisina.
L’UE, inoltre, ha previsto l’erogazione di 105 milioni per la gestione delle frontiere, delle operazioni di ricerca e soccorso e delle iniziative contro il traffico di persone, ma a seguito dell’incontro Saied sembra aver posto delle remore, dichiarando che sarebbe impensabile tenere i migranti in Tunisia in cambio di soldi e che si tratta di una soluzione disumana e inaccettabile.
L’Italia – particolarmente interessata a questa tematica dal momento che ricopre il ruolo di punto di arrivo principale dei flussi migratori – aveva già dimostrato sostegno alla Tunisia, tramite l’erogazione di investimenti dell’ammontare di 700 milioni di euro in progetti di cooperazione.
Alla fine, dopo giorni di slittamento, il 16 luglio l’Unione europea ha raggiunto un accordo con Tunisi.
Nel Memorandum of Understanding UE-Tunisia Bruxelles si impegna a fornire investimenti economici per quanto concerne la questione migratoria, l’energia, il commercio, il sostegno al bilancio e le opportunità per i/le giovani tunisini/e. Il controllo delle frontiere e dell’immigrazione irregolare sono gli obiettivi principali della cooperazione, perseguiti tramite il sostegno finanziario europeo al sistema di ricerca, di pattugliamento e di soccorso in mare (un’altra Libia?). Allo stesso tempo, l’Europa vuole favorire il rimpatrio dei cittadini tunisini presenti irregolarmente sul territorio dell’Unione. Da parte sua, Tunisi non è disponibile ad aprire campi profughi o centri dove accogliere persone migranti non tunisine. Inoltre, i finanziamenti sono vincolati all’accordo con il Fondo Monetario Internazionale, e alle sue condizioni di austerità, sulle quali il presidente Saied non sembra disposto a cedere.
Alessia Mazzaferro
Immagine di copertina: “Tamezret Village” by D-Stanley is licensed under CC BY
La partnership strategica fra Brasile e Cina prende il largo: Brasilia in un nuovo sistema internazionale
Analisi – Se il multipolarismo è divenuto il nuovo fantasma delle relazioni internazionali, l’intesa tra Brasilia e Pechino ne è (agli occhi di Washington) uno degli araldi più spaventosi. I due Paesi condividono, oltre a una fetta non trascurabile del proprio commercio estero, intenzioni simili per quanto riguarda il modellamento del prossimo ordine internazionale. Brasilia, inoltre, manca di appoggiare l’Ucraina nella guerra con la Russia, e anzi accusa l’atteggiamento occidentale di prolungare il conflitto.
Spagna, le proposte dei partiti in vista delle elezioni
Analisi – Il 23 luglio la Spagna va alle urne: a contendersi il Governo saranno i socialisti dell’uscente premier Sánchez e i popolari dello sfidante Feijóo, che avranno bisogno però del sostegno degli altri partiti (di sinistra o destra) per vincere. Ecco in cosa consistono i programmi elettorali.
Xi Jinping e la Cina di oggi
Eventi – La nostra Elisabetta Esposito Martino è intervenuta a Radio Cusano Campus per parlare del recente incontro virtuale dei Paesi della Shanghai Cooperation Organization (SCO). È stata l’occasione per una discussione di ampio respiro sulle più importanti questioni geopolitiche di questa estate: guerra in Ucraina, scenari per Taiwan, semiconduttori, terre rare e temi ambientali.
Tra Israele e Palestina la Cina si propone come mediatrice
In 3 sorsi – Il Presidente palestinese Mahmud Abbas è stato il primo capo di Stato arabo recatosi in Cina quest’anno. L’obiettivo della visita: sostenere la sovranità e l’indipendenza della Palestina. Ma quali sono, invece, le motivazioni della Cina a operare come mediatrice nella regione?


