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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Il Caffè Geopolitico: Security Jam 2012

Dopo gli eventi degli ultimi giorni, ci sembra utile riproporre gli elaborati del nostro Lorenzo Nannetti per il Security Jam 2012, sul tema "Lessons from Libya".

Our analyst Lorenzo Nannetti focused on the “Libyan Spring”, leading our contribution to the Security Jam 2012 through its final report “Lessons from Libya”.

One year after the beginning of the revolts in Libya, and several months after the end of the civil war following the death of Muammar al-Gaddafi, Libya remains a question mark, but can become an interesting case study on actual dynamics of intervention – and its possible consequences – in foreign countries"

Download "Lessons From Libya"

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WHAT IS THE JAM? – The Security Jam focuses the brain power of thousands of experts around the world on key security issues. Over five days participants will login to a state-of-the-art online collaboration platform to discuss topics as diverse as strategic partnerships, crisis management, cyber-security and future capabilities. Leading subject-matter experts will focus discussions on producing concrete solutions.

NOW IT’S YOUR TURN – Take this opportunity to influence leaders with your ideas. Whether you are a soldier in Afghanistan, a researcher in London or a diplomat in Sierra Leone, the quality of your ideas is all that matters. Security Jam 2012 lets you take part in frank discussions and the free exchange of ideas with colleagues worldwide, and then you can select the most innovative ideas.

MAKE A REAL IMPACT – Global leaders will receive the Jam’s initial results ahead of the NATO and G8 summits in Chicago in May 2012. EU and NATO leadership will receive the full report, including the ten most acclaimed recommendations, in Brussels later that month. The report will also be sent to thousands of high-level policymakers around the world. Take advantage of this unique opportunity; join us March 19th – 23rd 2012.

Find here further info and registration link!

Il Caffè al Security Jam!

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 JOIN THE ONLINE DISCUSSION

and share your views with policy-makers and experts

from all over the world!

 From March 19-23 2012, log on to the Security Jam, an online platform to brainstorm practical solutions to pressing security & defence issues in eight forums moderated by leading think tank experts.   REGISTER NOW to make your voice heard!

Registration is free and takes just few minutes.  

  • Put forth your ideas to thousands of representatives of national governments and armed forces, international institutions, NGOs, think-tanks, industry, academia and the media to find real solutions to global security issues
  • The 10 most innovative recommendations will be presented to the NATO and EU leaderships ahead of the May 2012 Chicago summits. Will one of them be your idea? 
  • Gain broad insights into the latest trends and developments in global security. 

 ·  Extend your network through contacts with thousands of experts across the security and defence spectrum.

 

  Confirmed VIPs include:

Adm. James Stavridis, Supreme Allied Commander Europe, NATO

Gen. Stéphane Abrial, Supreme Allied Commander Transformation, NATO

Claude-France Arnould, Chief Executive, European Defence Agency

Maciej Popowski, Deputy Secretary General for Inter-institutional Affairs, EEAS

H.E. Mrs. Kolinda Grabar-Kitarovic, Assistant Secretary General for Public Diplomacy, NATO

Patrick Pailloux, Director General, French Network and Information Security Agency (ANSSI)

Lt. Gen. Ton van Osch, Director General of the European Union Military Staff

Rob Wainwright, Director, EUROPOL

Colonel Ilmar Tamm, Director of the NATO Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence

VAdm. Anthony Johnstone-Burt, Chief of Staff, NATO Allied Command Transformation

 

8 discussion forums

  FUTURE CAPABILITIES & TECHNOLOGIES

INTERNATIONAL COOPERATION

STRATEGIC PARTNERSHIPS

CRISIS MANAGEMENT

FACING THE CYBER CHALLENGE

HYBRID & TRANSNATIONAL THREATS

OBJECT-LESSONS: LIBYA & AFGHANISTAN

Find more information at

 www.securityjam.org or contact us

 Please forward this invitation to your colleagues!

       


 

 

                   Security Jam coalition:

 Il Caffè Geopolitico | Austria Institute for European and Security Policy (AIES) | Balkan Security Agenda | Centre for Economics and Foreign Policy Studies (EDAM) | Centre for European Security Studies (CEUSS) | Friends of Europe | Fundacion para las RelacionesInternacionales y el Dialogo Exterior (FRIDE) | Geneva Centre for the Democratic Control of Armed Forces (DCAF) | Global Governance Institute | Hellenic Foundation for European & Foreign Policy (ELIAMEP) | Institut prospective et sécurité en Europe (IPSE) | Institute for Environmental Security | International Relations and Security Network (ISN) | International Security Information Service Europe (ISIS Europe) | Madariaga – College of Europe Foundation | Observer Research Foundation | Peace Research Institute Frankfurt (PRIF) | Prague Security Studies Institute | Rand Corporation – Europe | Tel-Aviv University | The Kosciuszko Institute | The Polish Institute of International Affairs (PISM) | University of Copenhagen – Centre for Military Studies | University of Hamburg | Institute for Peace Research and Security Policy | University of Kent – Brussels School of International Studies | Women In International Security (WIIS).

 

 

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Il volo del condor…o il canto del cigno?

“Sto cominciando a volare di nuovo come un condor”: così scrive Hugo Chávez sul suo profilo twitter, per rassicurare i suoi sostenitori sulle proprie condizioni di salute dopo la nuova operazione subita a Cuba. Nonostante le dichiarazioni governative, si susseguono rumors negativi sullo stato di salute del presidente venezuelano, cui resterebbe un anno di vita. A nove mesi dalle elezioni presidenziali, ci si interroga sul futuro: può esistere un chavismo senza Chávez?

VIAGGIO CUBANO – A neanche un anno di distanza dall’operazione subita a Cuba per asportare un cancro alla prostata, Hugo Chávez è tornato sull’isola caraibica dopo aver scoperto una lesione nell’area operata a giugno. Il presidente si è dimostrato come al solito ottimista sul decorso, e ha rassicurato i suoi sostenitori sia prima della partenza che subito dopo l’operazione, attraverso vari messaggi dal suo profilo Twitter @Chávezcandanga. Negli ultimi giorni sono anche state diffuse immagini di un Chávez sorridente mentre discorre con Fidel Castro. Nonostante le rassicurazioni governative, diffuse anche dai media del paese, numerosi analisti, giornalisti e medici hanno espresso dubbi sul reale stato di salute del leader venezuelano: a questo proposito, Wikileaks riporta dispacci dell’agenzia privata di intelligence Stratfor, secondo cui i medici russi e cubani che lo hanno avuto in cura hanno prospettato al presidente un’aspettativa di vita non superiore ai due anni. Il fatto che anche in Venezuela si inizi a parlare di un chavismo senza Chávez non fa altro che alimentare i timori su un cancro ormai in fase terminale.

UN CHAVISMO SENZA CHÁVEZ? – Numerosi media occidentali hanno posto l’accento su un breve video di VTV, dove il giornalista Miguel Ángel Pérez Pirela parla di un Chávez “fisico” già superato dal Chávez “progetto politico” e “rivoluzione bolivariana”. Di fatto, sostenendo la possibilità di un chavismo senza Chávez. Il tema effettivamente non è nuovo: numerosi settori della sinistra venezuelana, così come degli ammiratori esteri, pur riconoscendo i meriti del chavismo ne sottolineavano la pericolosa deriva personalistica e messianica, auspicando in vari casi la nascita di un progetto politico slegato dalle vicissitudini personali di un singolo personaggio. Ciononostante, il tema non è mai stato seriamente affrontato, tanto che Chávez ha spesso sostenuto di voler governare fino al 2030 o al “duemila sempre”. Ovviamente nessun delfino è mai emerso durante i 13 anni di dominio chavista, rispettando la tradizione dei movimenti personalistici. Se le voci di un cancro in fase terminale dovessero essere confermate, si aprirebbero quindi seri interrogativi sulla capacità degli orfani del chavismo di proseguire nel loro progetto politico senza il leader che di quel progetto è stato inventore, catalizzatore e incarnazione.

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VERSO LE ELEZIONI – In questo quadro si inseriscono le prossime elezioni presidenziali, fissate per il 7 Ottobre 2012. La posta in gioco è altissima: una vittoria dell’attuale presidente permetterebbe la definitiva trasformazione del Venezuela in senso chavista, mentre una sconfitta ne segnerebbe di fatto la fine politica. Per la prima volta l’opposizione si presenta compatta all’appuntamento elettorale: dopo anni di divisioni, la MUD (Mesa de Unidad Democratica) ha svolto elezioni primarie per eleggere un candidato unico. Il vincitore, Henrique Capriles Radonsky, è forse il peggior avversario possibile per Chávez: al contrario di altri candidati, non è perfettamente identificabile con la classe medio-alta del paese né con le vecchie élites. Inoltre, si è dichiarato a favore dei programmi sociali chavisti, tanto apprezzati dalla base elettorale dell’attuale amministrazione e fra i motivi del sostegno ricevuto da Chávez in questi anni. Capriles pone piuttosto l’accento sull’insicurezza endemica nella società venezuelana, così come sulla stagnazione dell’economia, sull’inflazione galoppante e sulla critica alle politiche stataliste e personalistiche del presidente. Avvicinato da alcuni osservatori al Lulismo, appare però più vicino al centro-sinistra cileno. Quel che è certo è che Capriles rappresenta un avversario pericoloso per Chávez: nonostante gli ultimi sondaggi diano in vantaggio l’attuale presidente, non va dimenticato che la MUD strappò un sostanziale pareggio al PSUV nelle elezioni amministrative del 2010. Anche per questa ragione Chávez ha annunciato l’intenzione di lanciare un nuovo programma assistenziale, avviato con l’approvazione di un piano di assistenza per anziani al di sotto del salario minimo, al fine di garantirgli una pensione di anzianità. La partita per le elezioni si è quindi già aperta: Chávez parte in vantaggio, ma le sue condizioni di salute pongono più di un’ombra su una eventuale rielezione. Francesco Gattiglio [email protected]

Prova a convincermi…

Il perno dei sette giorni che ci aspettano è fissato stabilmente sul Medio-oriente e le sue vicende più importanti. Se da una parte si cerca di arrivare ad un'improbabile soluzione diplomatica della crisi umanitaria in Siria; Israele, il suo governo e i suoi piani di guerra preventiva invadono gli Stati Uniti dove è in programma l'incontro di alto livello Obama-Netanyahu. Nel resto del pianeta si registra la conferma di Putin al trono del cremlino, la sconfitta elettorale di Ahmadinejad e l'impegno internazionale della Commissione Europea, mentre in Cina si prepara il campo per la transizione al vertice.

EUROPA

Lunedì 5 – Bruxelles sguinzaglia i suoi commissari in giro per il mondo alla ricerca di partnership commerciali e programmi di cooperazione allo sviluppo. Màire Gheoghegan-Quinn sarà per tutta la settimana a cavallo tra Australia e Nuova Zelanda per discutere di programmi comuni di ricerca scientifica e testimoniare il progresso scientifico dei due paesi. Contemporaneamente Kristina Georgieva, responsabile per la cooperazione internazionale, visiterà la Repubblica Democratica del Congo, dove terrà diversi meeting con i rappresentanti delle autorità centrali e regionali. Ci sarà anche spazio per verificare il progresso dell'impegno umanitario sul posto tramite colloqui con i responsabili di Banca Mondiale, UNICEF, MONUSCO e diverse ONG. Sul piano interno invece il Commisario Neelie Kroes per lo sviluppo tecnologico visiterà la Slovacchia dove parteciperà ad un meeting sull'Open Governance e incontrerà il Primo Ministro Iveta Radičova.

Mercoledì 7 – Il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti riceverà a Roma il Ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schauble per discutere delle conseguenze della firma del Fiscal Compact. Continuità dell'integrazione fiscale e patto per stabilità e crescita i temi al centro del dibattito, con gli occhi ben puntati sulle condizioni di Spagna e Grecia, da cui l'Italia, come riconosciuto anche dai mercati finanziari, si sta allontanando sempre di più. Il meeting italo-tedesco precede di una settimana l'incontro in programma per il 13 marzo tra Monti e Angela Merkel, proprio mentre il premier francese Nicolas Sarkozy entra nel pieno della campagna elettorale.

Venerdì 9-Sabato 10 – Sarà un consiglio per gli affari esteri informale, il meeting di due giorni che si terrà a Copenhagen, nell'ambito del semestre di presidenza danese dell'unione. L'Alto Rappresentante Catherine Ashton guiderà i Ministri degli Esteri dei paesi membri in una discussione sulle tematiche di fondo dell'azione esterna di Bruxelles nell'ambito della politica di difesa e sicurezza comune. I temi aperti come la situazione in Siria, il blocco delle vendite di greggio iraniano nei confronti di Francia, Regno Unito e Grecia saranno affrontati in una serie di incontri. Chissà che proprio questi meeting informali non garantiscano la formazione di un consenso condiviso sulle questioni più importanti dell'attuale dibattito internazionale, su cui il più delle volte i membri dell'UE agiscono di proprio conto.

AMERICHE

Lunedì 5-Martedì 6 – Mentre giunge a conclusione l'AIPAC, la Conferenza dell'American Israel Pubblic Affairs Committee, il Presidente degli Stati Uniti terrà l'incontro più importante della sua presidenza, giunta ormai al termine, con il premier israeliano Benjamin Netanyahu sulla questione iraniana. Nel frattempo, dietro le quinte e gli sguardi bramosi dei media, il ministro della difesa di Tel Aviv Ehud Barak, tenterà di convincere gli ufficiali americani della bontà del piano dell'IAF per un pre-emptive strike sugli impianti nucleari di Teheran. In un'intervista rilasciata venerdì all'Atlantic Monthly Obama ha chiarito le sue posizioni in merito, ribadendo che un attacco preventivo israeliano resta la peggiore delle ipotesi sul tavolo. Sembra difficile un gentlemen's agreement tra i due alleati, tra i quali rimangono divergenze fondamentali in termini di tempo e percezione, per questo è probabile che la palla rimanga ancora al centro tra falchi e colombe.

Martedì 6E' finalmente giunta l'ora della resa dei conti tra i tre sfidanti repubblicani Romney, Gingrich e Santorum. Il Super Tuesday vedrà gli elettori di 11 stati scendere in campo per scegliere il loro candidato ideale, con Gingrich che ha investito una fortuna per accaparrarsi la Georgia, Rick Santorum favorito in Tennessee e Oklahoma. Il vero scontro finale avrà però l'Ohio come scenario, lì i sondaggi danno in vantaggio il devoto Santorum, mentre Mitt Romney ha sfruttato le vittorie in Michigan e Arizona per cercare di evitare la disfatta. Sembra che i vertici repubblicani siano rimasti impressionati per l'evidente indecisione che coinvolge il partito e le indiscrezioni che danno per scontato l'avvento di Jeb Bush si diffondono nell'elettorato.

Domenica 11 – Il piccolo stato di El Salvador è chiamato alle urne per eleggere gli 84 rappresentanti dell'Asamblea legislativa, unica camera del sistema politico di San Salvador. In lizza tre partiti, l'FMLN dell'attuale Presidente Mauricio Funes Cartagena, l'ARENA, alleanza repubblicano-nazionalista e il GANA, l'alleanza per l'unità nazionale formatasi da una costola dell'ARENA. Sembra scontata una riconferma per il Fronte Farabundo Martì, anche se i due partiti di destra, separati in casa, potrebbero unire le forze contro il nemico comune, ovvero il governo Funes. Il paese ha sempre subito una forza influenza statunitense, confermata anche dalla valuta nazionale, che resta il dollaro americano. Dopo i 12 anni di guerra civile e la fine della dittatura di José Napoléon Duarte, gli Stati Uniti hanno sempre favorito l'ARENA per garantirsi un governo amico, fino alle elezioni del 2009 in cui Funes ha sconfitto di misura Elias Antonio Saca.

AFRICA

LIBIA – Come vi abbiamo descritto in settimana col nostro "Giro del Mondo" restano le nubi sulla Libia post-Gheddafi, nonostante la fine della tempesta. Continuano a Misurata, città simbolo della guerra civile, le proteste contro la permanenza delle milizie armate provenienti da altre parti della nazione. Proprio a Misurata ha perso la vita un artificiere canadese mentre cercava di disinnescare una mina anti-carro piazzata dall'esercito del colonnello durante i mesi d'assedio. Misuratino è anche Mohamed Sowan leader fresco di nomina del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, una costola dei Fratelli Musulmani presenti in Libia Intanto il governo del CNT affronta le prime grane sul piano internazionale dopo le denunce di violazioni sistematiche dei diritti umani nei confronti dei prigionieri di guerra, e gli scontri di confine tra miliziani e esercito tunisino. Tiene banco la richiesta di estradizione pervenuta al Cairo che riguarderebbe 36 personalità di spicco legate al regime tra cui ministri degli esteri, capi dell'intelligence e responsabili del comparto economico-industriale.

MALI – Anche se lo scontro è rimasto sepolto da altre vicende mediatiche più attraenti, in Mali permane lo stato d'emergenza per la guerriglia tuareg del Fronte per la Liberazione dell'Azawad. Nei giorni scorsi i ribelli sono riusciti a sostenere il contrattacco governativo diretto a rompere l'assedio della città di Achemelmel, centro strategico per la vicinanza dell'aeroporto di Tessalit. L'ambasciata americana a Bamako ha confermato il sorvolo della zona da parte di un cargo che avrebbe paracadutato cibo e aiuti umanitari ad un gruppo di 2mila rifugiati. Secondo l'UNCHR, l'agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, i profughi dal Mali sarebbero ormai più di 80mila, mentre continua l'emergenza carestia nella regione di frontiera tra Niger, Burkina Faso e Mauritania.

NIGERIA – L'economia di Abuja ingrana il passo verso un tasso di crescita per l'anno in corso stimato attorno all'8,2%. Grazie alla numerosa popolazione, circa 160 milioni di abitanti, e ad un aumento della base di consumo interno, il settore petrolifero del paese non sarà più l'unico primato del paese. La Nigeria è infatti il primo produttore africano di greggio, sesto in ambito OPEC, ma solo la lotta all'inflazione, portata sotto il 10%, e il mantenimento del debito pubblico e del deficit primario a livelli accettabili garantirà al paese un futuro meno violento. La maggiorparte degli analisti economico-finanziari punta molto sullo sviluppo dell'economia del paese che potrebbe addirittura entrare in 10 anni tra i G20. Nell'immediato occorre che il governo riesca a garantire sicurezza e stabilità entro i suoi confini, debellando il terrorismo islamico e giungendo ad un accordo di tregua con i ribelli del delta del Niger.

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ASIA

Lunedì 5 – Dopo i primi spogli che confermano la vittoria di Russia Unita, stimata al 60%, si attende con ansia il dato finale per fotografare i numeri dei diretti avversari del solito duo Putin-Medvedev. Mikhail Prokhorov, magnate sospettato di tifare in realtà per lo status-quo, si aspetta di arrivare al 10%, il nostalgico Ziuganov, critica la trasparenza del voto, ma si accontenta del 18%, mentre il vero dato preoccupante è il 7% degli ultra-nazionalisti di Zhirinovski. Il leader dell'opposizione di piazza Serghiej Udaltsov ha già proclamato una giornata di blocco totale della capitale per contestare il dato delle urne, descritto come "uno sputo in faccia". La verità è che l'ennesima conferma per il nuovo Presidente gli garantirà, almeno per le prime settimane, un'aurea di intoccabilità e di riparo dalle contestazioni.

CINA – La quarta carica del Comitato Centrale del PCC, Jia Qingling, ha invitato i funzionari locali e provinciali a giocare un ruolo più centrale nella soluzione delle tensioni etnico-religiose. Il responsabile del ramo di congiunzione tra Partito e Stato, ha sottolineato l'importanza dell'assenza di crisi e situazioni instabili durante l'anno che porterà al cambio di leadership. La transizione di potere è sempre stata oggetto di pratiche e sistemi ben definiti, qualsiasi evenienza accidentale e non preventivata, per esempio nello Xinjiang e in Tibet, và quindi affrontata di petto. Intanto sul fronte internazionale, il portavoce del Ministro degli Esteri ha chiesto ufficialmente a Bashar Al Assad di mettere fine una volta per tutte alle violenze sulla popolazione per cercare una soluzione pacifica alla questione.

MYANMAR – Continua il tour elettorale che porterà Suu Kyi, paladina della democrazia, in tutte le maggiroi città dell'ex Birmania. Nell'ultimo comizio svoltosi a Mandalay circa 200mila persone hanno ascoltato le parole della leader della Lega Nazionale per la Democrazia, mentre un convoglio di 60mila scooter seguiva il tragitto dell'eroina lungo le vie della città. Le elezioni del primo Aprile si fanno sempre più imminenti, ma non porteranno alcun cambiamento di fondo alla situazione politica a causa dei seggi riservati al partito di governo e all'elite militare. Molto probabile, a meno di colp di scena, l'elezione al Parlamento del simbolo della lotta per la democratizzazione del paese, chissà che la sola presenza in una aula non garantisca alla figlia di Aung San un maggior ruolo nella vita politica.

MEDIO-ORIENTE

Mercoledì 7 – Si ritroveranno a Ryadh, in Arabia Saudita, i ministri degli esteri dei paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo per affrontare insieme al collega russo, Serghiej Lavrov, la situazione siriana. Bahrain, Oman, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno già concordato di sospendere le relazione diplomatiche con il governo di Assad, lasciandolo in un isolamento diplomatico quasi totale. Impossibile pronosticare le date precise della visita del Commissario dell'Onu e della Lega Araba Kofi Annan, che dovrebbe comunque svolgersi entro il week end. Ormai il conteggio delle violenze del regime ha superato quota 9000, mentre l'azione delle forze di sicurezza e degli shabbeeha, criminali armati, si starebbe allargando a zone mai toccate da manifestazioni di protesta.

IRAN – Duro colpo per i piani politici del Presidente Mahmud Ahmadinejad, dopo la vittoria ormai date per certa del partito dei principalisti, fedeli alla guida spirituale del paese, l'Ayatollah Khamenei. Molto attesi anche i risultati definitivi del dato dell'affluenza alle urne, l'obiettivo sarebbe quello di superare il record storico del 75% registrato durante le elezioni del '96. Ahmadinejad dovrà d'ora in poi guardare con diffidenza al Parlamento, che lo ha già sfidato più volte, mettendo in discussione la politica economico-finanziaria del governo. Khamenei si conferma il vero detentore del potere nella repubblica islamica, spetterà a lui la decisione finale sul programma nucleare iraniano e probabilemente anche la scelta del successore di Ahmadinejad.

YEMEN – Sembra destinata a peggiorare gravemente la situazione nella provincia di Abyan, dove ieri uno scontro tra esercito e gruppi legati ad Al-Qaeda ha causato più di 70 morti tra i soldati yemeniti. Zinjibar è da mesi la capitale dei ribelli qaedisti, che dopo una serie di bombardamenti aerei compiuti dai droni americani, hanno guadagnato l'appoggio di buona parte della popolazione colpita. Nonostante il passaggio di poteri tra Saleh e il suo vice Abdrabuh Mansur Hadi, lo Yemen è ben lontano da una condizione di stabilità e sembra scontato un maggior impegno informale delle forze statunitensi nella zona strategica del Golfo di Aden. Sempre di domenica è la notizia dell'esplosione dell'auto del leader del partito fedele a Saleh, Abdullah Idris nella città di Rada, poco distante dalla capitale Sanaa.

Fabio Stella [email protected]

Luci (rosse) ed ombre sulla corsa al Cremlino

Anche sui nuovi media, come youtube e social networks, impazza la battaglia a colpi di video tra sostenitori ed oppositori del Vladimir nazionale. La strategia del partito del Presidente, Russia Unita, sembra prestare molta attenzione all’elettorato che si presenta per la prima volta alle urne, contando che proprio sui giovani si svolgerà la battaglia decisiva. Ma siamo sicuri che video piccanti e comici saranno sufficienti a garantire un ampio vantaggio al futuro Presidente? In realtà la vera garanzia di vittoria giace nella divisione dell’opposizione che alle presidenziali non avrà un candidato forte e condiviso.

GESTIRE IL CONSENSO – Non è sicuramente un caso che la grande manifestazione a sostegno della candidatura di Putin alle presidenziali, in risposta ai diversi cortei di contestazione all’uomo che governa la Russia da ormai 12 anni, abbia avuto luogo il 23 febbraio, giorno della Festa dei difensori della Patria. In centotrentamila hanno raccolto con diverse colonne organizzate di autobus, l’invito alla manifestazione in sostegno al Premier russo, con diversi gradi d’entusiasmo. Nonostante le polemiche alla fine il risultato è stato netto: attualmente larga parte della popolazione non è ancora pronta a dire “No” alla ricandidatura dello zar Vladimir. I sondaggi parlano chiaro e sembrano confermare questo dato: nonostante il calo nei consensi, Putin riscuoterebbe ancora circa il 58% delle preferenze dei Russi anche se il dato è in continua evoluzione.

NAZIONALISMO E CONTINUITA’ – Ciò su cui si basa l’attrazione degli elettori per il futuro presidente sono temi e strategie vecchi e nuovi: giusto per restare nell’atmosfera della giornata del 23 febbraio, il discorso di Putin si è incentrato sulla necessità della difesa della Madrepatria dalle ingerenze esterne, con frasi come “La battaglia per la Russia continua! Saremo vittoriosi!” e ha richiesto alla folla di non essere infedele alla propria Nazione. In un tale contesto la demonizzazione delle proteste dei giorni precedenti è stata una logica conseguenza del clima creatosi durante la manifestazione.“Vogliamo esprimere un secco rifiuto alle forze che vogliono far crollare il Paese” recita un comunicato del Fronte Popolare Panrusso, un’organizzazione voluta da Putin in persona per reagire allo smacco subito dal partito Russia Unita dopo le elezioni per la Duma del 4 dicembre e slegare il suo nome da esso. Il fattore fondamentale che contribuisce quantomeno al mantenimento dei consensi Putin è ancora visto come l’unico in grado di garantire stabilità in caso di rielezione.

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LE “VERGINI” ALLE URNE – Putin si è limitato a condurre fino a questo momento una campagna sottotono per molti aspetti, forse in linea con una sua recente dichiarazione che lo dipingerebbe come “disgustato dalle campagne elettorali”. Le strade della sterminata Federatsiya non sono cosparse di sue gigantografie come molti si aspetterebbero e non sono pochi i video che girano su internet in cui vengono scherniti gli elettori del futuro presidente. Basti pensare per esempio a quello di Ksenia Sobchak, la Paris Hilton russa, che con aria contrita espone a fiume ed in perfetta retorica zarista le motivazioni per le quali lei “vota per!” (dal titolo del video). I video a sostegno dello “zar” di Russia tuttavia non mancano, come quelli a sfondo erotico-equivoco messi in rete da perviiraz.ru (trad. “la prima volta”): in questi video giovani e belle ragazze chiedono consigli a diverse persone sulla loro “prima volta” e sulle “precauzioni” da prendere. In una delle tante perle propagandistiche, una ragazza dal dottore afferma di prendere questa scelta per amore e per tutta risposta il dottore afferma che la condivide, e, indicando un calendario dove stringe la mano al Premier sostiene che “con lui, sarà sicuro”. L’equivoco si chiarisce nel momento in cui si vedono le ragazze andare a votare al seggio elettorale, l’amplesso virtuale si celebra in realtà nell’imbucare la scheda nell’urna. Sono questi video la novità della strategia elettorale di Putin, che mira così a conquistare il voto dell’elettorato giovanile rendendo accattivante l’idea di partecipare al processo elettorale a suo favore, in maniera fresca e naturale. 

UN’IDEA GIA’ VISTA – Un precedente di simili video si era già visto in Russia, anche se la pubblicizzazione dei nuovi video è più organizzata e sistematica: il partito Russia Unita aveva commissionato uno spot elettorale per le elezioni di dicembre per la Duma nel quale due giovani entravano insieme nella cabina elettorale con chiare allusioni sessuali. Immancabile ovviamente era stata la protesta dei partiti di opposizione che criticarono il gusto di un simile video nonché la presunta dimenticanza del segreto da mantenere nella cabina al momento del voto. Chissà se l’ispirazione a questo tipo di campagna elettorale non sia giunto dalla Spagna, dove in occasione delle elezioni federali in catalogna del 2010 i Giovani Socialisti avevano realizzato un video in cui al momento del voto una pornostar di carriera raggiungeva un sonoro orgasmo. Non sappiamo se questo nuovo tipo di campagna elettorale sia gradita allo zar, né se avrà successo nel riscuotere il consenso dell’elettorato alla sua “prima volta”, quello che sembra scontato è la conferma di Vladimir Putin alla guida della Federazione Russa.

Matteo Zerini [email protected]

Restare a galla

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Che cosa ha in serbo il 2012 per il Regno di Thailandia? Dopo anni di divisioni sociali e politiche, con le elezioni dello scorso luglio il paese del sudest asiatico pareva essersi avviato sulla strada della riconciliazione nazionale. Al contrario, la spaccatura sociale persiste e il Regno si trova oggi obbligato a sciogliere una serie di nodi gordiani che non potranno che creare vincitori e sconfitti. L'alluvione sembra aver sferrato un colpo mortale sulla giovane economia in via di sviluppo, facendo crollare le speranze di popolazione e governo. Sarà in grado il paese del sorriso di ritrovare l'unità nazionale che ha permesso al Giappone di ripartire nel dopo-Fukushima?

IL PAESE SOMMERSO – Il 2011 non è stato particolarmente fortunato per la Thailandia, con mesi di alluvioni bibliche che hanno causato 815 morti, immensi disagi e una contrazione dell'economia nell'ultimo trimestre del 10,7%. Quello passato e' stato anche un anno di elezioni, con la larga vittoria del partito "rosso" Pheu Thai (PT, Per i Thailandesi) di Yingluck Shinawatra ha rappresentato uno schiaffo in faccia per il vecchio establishment monarchico-militare che favoriva il Phak Prachathipat (PP, Partito Democratico). Con l’anno nuovo non c’e’ stata nessuna svolta: i vecchi problemi sono rimasti irrisolti, mentre nuove questioni si stanno profilando all’orizzonte. In sostanza, oggi la battaglia politica thailandese ruota intorno a tre nodi gordiani: la legge di lesa maestà, conosciuta anche come Articolo 112 del codice penale; Thaksin, dipinto da alcuni come una sorta di nemesi del monarca; e la figura stessa di Re Bhumipol. LA LESA MAESTA' – Dal colpo di stato militare del 2006, appoggiato o comunque prontamente riconosciuto dalla Corona, un numero sempre maggiore di cittadini e' stato accusato di aver violato la legge sulla lesa maestà. Dai meno di 20 casi nel 2005 si e' arrivati ai quasi 500 del 2010. Tra le vittime della 112 ci sono thailandesi e stranieri, giornalisti e scrittori, professori e blogger, sindacalisti e webmaster, studenti e attivisti politici. Gli imputatinon godono della presunzione d'innocenza e come risultato vengono condannati nel 94% dei casi. La pena per ogni singola mancanza di rispetto nei confronti di un membro della famiglia reale va dai 3 ai 15 anni. Teoricamente, quattro “offese” possono portare a una condanna per 60 anni. A livello internazionale, la 112 è stata ampiamente criticata. Washington, Bruxelles, Amnesty International, Human Rights Watch e altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani e la libertà d'espressione hanno condannato l'abuso della 112 e ne hanno chiesto la modifica. In particolare, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha dichiarato che la legge è una violazione degli obblighi internazionali presi da Bangkok e ha esortato le autorità thailandesi a modificarla. La 112 non è "né necessaria né proporzionata," ha spiegato l'Alto Commissariato. Un gruppo di professori di diritto della prestigiosa Università Thammasat di Bangkok ha proposto degli emendamenti, ma solo per incontrare la strenua resistenza dei monarchici, governo ed esercito. In prospettiva, difficilmente la controversa legislazione potrà essere modificata, e questo anche per via del secondo nodo gordiano: il possibile ritorno di Thaksin Shinawatra

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THAKSIN E L’AMMART – Thaksin, un ex primo ministro controverso ma democraticamente eletto e popolarissimo, fu cacciato dal colpo di stato militare del 2006 e successivamente condannato in assenza a due anni di galera per conflitto di interessi, un'accusa che ha sempre respinto. Dietro ai golpisti c’era l’ammart, il potente blocco monarchico-militare, che accusa Thaksin, tra le altre cose, di simpatie repubblicane. Dopo l'elezione a primo ministro di sua sorella Yingluck Shinawatra nel luglio scorso il ritorno in patria dell'illustre esule e’ iniziato ad apparire inevitabile. Fonti interne hanno parlato di un accordo segreto tra la famiglia Shinawatra e l’ammart secondo il quale i primi si sono impegnati a non modificare la legge 112 e a non investigare i militari responsabili del massacro del maggio 2010. In cambio, il vecchio establishment avrebbe dato il suo assenso riguardo a un futuro ritorno di Thaksin, che dovrà pero’ essere facilitato da un'amnistia, un indulto o da una grazia concessa dal re. Ma come risponderebbero le camicie gialle ultra-monarchiche e fieramente anti-thaksiniane al ritorno del loro arcinemico? Torneranno a rendersi protagoniste di azioni estreme come quando occuparono l'aeroporto di Bangkok nel 2008? E come risponderebbero le camicie rosse all'ipotetico 'tradimento' da parte del governo Yingluck, che hanno sostenuto e ancora sostengono, nel caso in cui decidesse, come pare probabile, di bloccare l'emendamento della 112 e mettere una pietra sopra ai fatti del 2010 senza individuare i colpevoli della morte di decine di cittadini inermi (tra i quali il fotoreporter italiano Fabio Polenghi)? DINASTIA E SUCCESSIONE – ll terzo nodo gordiano riguarda il re in persona, o meglio la sua salute. Re Bhumipol e' anziano e malato e dal settembre del 2009 vive al sedicesimo piano di un noto ospedale della capitale. Recentemente e' apparso in televisione in due occasioni ma le sue condizioni sono parse tutt'altro che ottimali. La continua politicizzazione della sua figura e dell'istituzione monarchica, come anche la mancanza di chiarezza sul nome del successore al trono, lasciano il paese intero con un grosso punto interrogativo piantato nel cuore stesso del sistema: cosa accadrà dopo di Lui? Per tutte queste ragioni per il Regno di Thailandia il 2012 sarà un anno cruciale. Non e' possibile prevedere gli sviluppi dell'instabile situazione socio-politica, in quanto tutto dipenderà da se e come verranno affrontati i tre nodi gordiani di cui abbiamo parlato. L'unica certezza e' che la crisi sociale e politica del paese e' destinata a durare a lungo, in un paese in cui passato e presente sono fusi in un interminabile ciclo storico. Alessio Fratticcioli [email protected]

Las Malvinas son argentinas?

Da ormai diverse settimane si è ripresentata l’annosa questione riguardante la sovranità sulle minuscole isole sudamericane. Da una parte l’Argentina, tornata a fare la voce grossa e a rivendicarne il possedimento, dall’altra il Regno Unito, che viceversa non ha alcuna intenzione di riaprire una vicenda che riteneva ormai chiusa per sempre. Tra mera propaganda e interessi geopolitici, proviamo ad anticipare i possibili sviluppi della vicenda

Da Buenos Aires

I FATTI – Probabilmente il trentesimo anniversario della guerra tra Argentina e Regno Unito era una ricorrenza troppo ghiotta per non far tornare in auge il conflitto latente ma sempre in essere intorno alle isole Malvinas/Falkland. Stavolta a dare il via alle polemiche è stata la decisione presa il 20 dicembre scorso dai paesi membri del Mercosur (Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay) di proibire l’ingresso nei propri porti alle imbarcazioni aventi la bandiera delle isole contese. La misura, presa in seguito alle forti pressioni del governo argentino (emblematiche in tal senso le parole del Presidente dell’Uruguay, José Mujica: “Non abbiamo nulla contro il Regno Unito, ma abbiamo molto in favore dell’Argentina”), non ha ovviamente lasciato indifferente Londra. Tanto che un portavoce del Foreign Office si è immediatamente detto “molto preoccupato per l’ultimo tentativo argentino di isolare la popolazione delle Falkland e danneggiarne le condizioni di vita, per il quale non può esservi alcuna giustificazione”. Per tutta risposta, il governo britannico ha deciso di inviare in Sudamerica il gioiello della Royal Navy: l’incrociatore HMS Dauntless – costato 1,5 miliardi di dollari – con un radar in grado di individuare minacce nel raggio di 400 km, e missili antiaerei in grado di colpire alla medesima distanza fino a otto obiettivi in appena dieci secondi. In aggiunta, è stato predisposto per i primi di febbraio l’arrivo alle Falkland del Principe William, spedito per un addestramento militare di sei settimane da svolgersi proprio sulle isole (con tanto di uniforme da conquistador indossata dall’erede al trono britannico). Il gioco delle parti non si è ovviamente arrestato qui, e la Presidenta Kirchner ha colto la palla al balzo per rilanciare la sfida, denunciando tramite una missione del Ministro degli Esteri Timerman presso le Nazioni Unite la crescente militarizzazione dell’intera area sudamericana messa in atto dalla Gran Bretagna, e chiedendo all’ONU di mediare affinché quest’ultima accetti di sedersi al tavolo delle trattative per ridiscutere del futuro dell’isola.

LA POSIZIONE ARGENTINA – Alla luce degli eventi elencati sopra, pare quantomai legittimo chiedersi cosa l’Argentina speri di guadagnare da questo scontro diplomatico: la Kirchner punta davvero ad ottenere la sovranità sulle Malvinas? Oppure si tratta di una manovra pensata per riportare l’Argentina agli onori delle cronache internazionali, e mostrare a tutto il mondo il peso diplomatico e l’autorità riconquistata da Buenos Aires dopo aver toccato il fondo con il default finanziario? Infine, potrebbe essere una semplice mossa per attirare consensi in patria, in vista di una possibile riforma costituzionale nel prossimo futuro? Ciascuna delle tre spiegazioni potrebbe essere quella buona. Quel che è certo è che la questione delle Malvinas viene da sempre vissuta da gran parte dell’opinione pubblica argentina come un vero e proprio affronto all’orgoglio di una nazione intera: sin dai primi anni di scuola viene insegnato ai bambini che le isole sono da considerarsi argentine a tutti gli effetti, e che solo la prepotenza colonizzatrice di un paese lontano impedisce che esse siano parte integrante del territorio nazionale. Ed è proprio di “colonialismo anacronistico” che si parla sovente a Buenos Aires, per bocca, prima di ogni altro, proprio della Kirchner. Che ricorrendo a una tale terminologia sta tentando, per usare le sue stesse parole, di trasformare “la causa delle Malvinas da un problema solamente argentino ad una questione globale”. Importante da sottolineare è il fatto che rispetto al passato l’Argentina non è più sola. I paesi dell’America Latina e dei Caraibi si sono espressi in blocco in favore di Buenos Aires, con la sola parziale eccezione del Cile (e in tal senso ha dato i suoi frutti la recente visita a Santiago da parte di Cameron). Inoltre, persino gli Stati Uniti hanno mostrato freddezza nei confronti dello storico alleato britannico, e lo stesso Obama ha dichiarato piuttosto laconicamente come questa sia una “questione bilaterale, da risolversi tra le parti”. Sulla bontà e sincerità delle intenzioni del governo argentino, tuttavia, in parecchi hanno più di un dubbio. È risaputo come la carta del nazionalismo e del patriottismo sia sempre efficace nell’attirare facili consensi e popolarità. E consenso è proprio ciò di cui in questo periodo la Kirchner ha un grande bisogno per tamponare il malcontento generatosi in seguito ai cospicui tagli alla spesa pubblica, che hanno fatto venir meno i generosi sussidi in diversi ambiti; allo stesso tempo, consenso è necessario per provvedere a modificare la Costituzione in quella parte che le proibirebbe di candidarsi per il terzo mandato consecutivo alla guida del paese. Proprio in tale chiave si può interpretare la decisione di rinominare il campionato di calcio argentino, più precisamente il torneo di Clausura, Crucero General Belgrano, dal nome di una nave da guerra argentina affondata da un sottomarino britannico 30 anni orsono. Mossa che ha mandato la FIFA su tutte le furie, ma che ha senz’altro consentito alla diatriba e alla stessa Kirchner di guadagnare un certo spazio sulle prime pagine dei quotidiani sportivi e non.

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LA REPLICA DEL REGNO UNITO – Da parte sua, Londra ostenta sicurezza, conscia del fatto che il verificarsi di un conflitto armato sia altamente improbabile, e consapevole in ogni caso della propria indiscutibile superiorità militare. A tal proposito, il Segretario della Difesa britannico Philip Hammond ha dichiarato come l’Argentina non rappresenti una minaccia concreta per le isole, e non vi sia necessità di aumentare il dispiegamento di forze militari presenti nell’area. Tuttavia, un qual certo nervosismo dovuto al ripresentarsi di una questione che si pensava aver chiuso una volte per tutte 30 anni fa è senz’altro filtrato dalle stanze dei bottoni britannici. Alle argomentazioni argentine volte a rimarcare come la sovranità britannica sulle Malvinas implichi una presenza di tipo coloniale di una potenza straniera e una pesante militarizzazione dell’intera area, il Regno Unito ha ripetutamente replicato sventolando la bandiera del diritto all’autodeterminazione della popolazione risiedente nelle isole (circa 2.500 persone, i cosiddetti “Kelpers”). Ovviamente trattasi di discendenti dei coloni di Sua Maestà che tempo addietro si stabilirono nelle Falkland, e che godono dello status e si considerano cittadini britannici a tutti gli effetti. L’aspetto che maggiormente interessa il Regno Unito, tuttavia, è sicuramente un altro. A Londra fanno indiscutibilmente gola le riserve di petrolio conservate nei fondali del mare circostante le isole, che si stima possano contenere fino a 8 miliardi di barili di greggio: tradotto, significa 120 miliardi di euro di possibili guadagni nei prossimi decenni. Non solo: la posizione geografica delle Falkland consentirebbe al governo britannico di utilizzarle come “testa di ponte” per legittimare le proprie richieste di sovranità su porzioni importanti di Antartide, ricco a sua volta di risorse energetiche ancora largamente inesplorate. Decisamente, due buoni motivi per non mollare la presa su questi pochi scogli bagnati dall’Atlantico.

COME ANDRA’ A FINIRE? – Il governo argentino sta certamente svolgendo un lavoro egregio nel perorare la propria causa, trovando tra l’altro l’appoggio inaspettato di star del mondo dello spettacolo come Sean Penn e Roger Waters. Ciononostante sembra molto difficile che possano esservi sostanziali mutamenti di posizione: se l’Argentina aveva in passato una concreta possibilità di rientrare in possesso delle Malvinas, ebbene questa è probabilmente venuta meno con la sciagurata invasione di 30 anni fa. Tuttavia alla Casa Rosada appaiono convinti e determinati nell’andare fino in fondo alla contesa diplomatica. In particolare, saranno percorse fino in fondo le alternative offerte dall’ONU, consistenti nell’impegno preso da Ban Ki-moon di svolgere i buoni uffici nella trattativa, e nella discussione della vicenda che verrà effettuata il prossimo 14 giugno in seno al Comitato Speciale per la Decolonizzazione. Certamente non è molto, e siamo comunque ben distanti da una qualsiasi risoluzione dell’Assemblea Generale o da un ordine del giorno in Consiglio di Sicurezza. Stante la ferma posizione del governo britannico, secondo il quale non esiste nessuna questione su cui discutere, né tantomeno alcun motivo per sedersi intorno a un tavolo, sembra dunque difficile che si possa andare molto al di là delle schermaglie di queste settimane. Probabile anzi che la fine delle celebrazioni per il trentennale del conflitto porti anche via con sé gli ultimi strascichi di questa polemica. Pronta comunque a ripresentarsi non appena una delle due parti in causa lo riterrà utile per i propri scopi. Antonio Gerardi [email protected]

L’eredità del Colonnello

Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2012 – A un anno dall’inizio delle rivolte in Libia, e a diversi mesi dalla fine della guerra civile in seguito alla morte di Muhammar Gheddafi, la Libia rimane ancora un punto interrogativo, eppure può diventare un case study interessante sulle dinamiche attualmente esistenti relativamente all’interventismo – e le sue possibili conseguenze – in paesi esteri

 

LA RIVOLTA DI TRIPOLI – La rivolta araba è arrivata in Libia per motivazioni simili a quelle degli altri paesi del Nord Africa: una forte presenza giovanile senza lavoro, senza prospettive di sviluppo date da una crisi economica globale che ha portato anche a speculazione sui prezzi del cibo, culturalmente collegata al mondo esterno dalle nuove tecnologie e che si sentiva chiusa da una dittatura generalmente spietata nel reprimere il dissenso. Infine, le divisioni etniche e settarie, legate in Libia soprattutto all’appartenenza alle diverse tribù. Gheddafi è stato però forse il primo dittatore ad impiegare mezzi estremi per cercare di piegare i rivoltosi fin dai primi giorni, e per quanto il suo operato sia ora da considerarsi “superato” da quello del suo omologo siriano, per allora si trattava di scelte dall’elevatissimo impatto mediatico (L’ora di Tripoli). Forse convinto dalla sua stessa retorica – accade spesso tra i dittatori – ha pensato che nessuno potesse davvero intervenire, e, arrivato a un passo dalla vittoria (La resurrezione del colonnello) con le sue forze già nei sobborghi di Bengasi, ha minacciato ulteriori stragi. Ed è stato questo ciò che ha dato l’ultimo impulso alla decisione di intervento.

 

IL PUNTO DI VISTA ESTERNO – Ogni nazione aveva infatti i suoi motivi per intervenire o meno nel conflitto, e in particolare gli interessi economici e politici francesi e inglesi nel Mediterraneo hanno giocato un ruolo importante nella decisione di intervenire (così come in quella italiana di temporeggiare, almeno all’inizio), tuttavia è indubbio che tale opzione sia stata resa più appetibile da un’opinione pubblica scioccata dalle immagini e dalle testimonianze provenienti da Tripoli e dintorni, oltre che dalla prospettiva di un ultimo bagno di sangue a Bengasi. Non sorprende quindi che la discussione internazionale in sede all’ONU abbia poi visto una sostanziale comunione d’intenti tra i principali attori; perfino Russia e Cina hanno preferito non opporsi  col veto al Consiglio di Sicurezza, aprendo la strada alla risoluzione ONU e al relativo intervento armato. (Vento caldo sulla Libia) E’ qui che dobbiamo cambiare prospettiva e osservare l’intervento esterno. Tanti sono i punti da ricordare, prima fra tutte le divisioni politiche tra alleati, preludio militare dei difficili negoziati attuali in tema di economia. Così si è avuto il paradosso di nazioni alleate che operano quasi da sole, con tante operazioni separate l’una dall’altra e solo marginalmente coordinate per non pestarsi i piedi. (Confusione nei cieli)

 

E se alla fine un accordo si è trovato con l’istituzione dell’Operazione Unified Protector a comando NATO canadese, questo ha confermato i problemi europei ad avere una politica estera comune e condivisa da un lato, e a poter operare senza sostegno USA dall’altro, con le forze statunitensi costrette comunque a rifornire gli alleati di munizioni e aiutarli con droni e AWACS. (Né Unified né Protector) Anche dall’ambito comunicativo le differenze di opinione e il desiderio di alcune nazioni di non apparire troppo coinvolte hanno portato NATO e Europa a non comunicare con sufficiente chiarezza né gli scopi ultimi (Gheddafi è un bersaglio o no? Perché si/Perché no?) né le modalità (In cosa consiste una no-fly zone? Con che ruoli stanno intervenendo le varie nazioni?), lasciando che fossero i media a rispondere a queste domande, spesso in maniera errata o poco approfondita – dando dunque adito a incomprensioni e superficialità.

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UN BILANCIO – Tutto fallimentare dunque? Non proprio, anzi gli elementi di successo esistono: la NATO è riuscita a intervenire senza mandare truppe di terra, come molti paventavano, ad eccezione di squadre di forze speciali. E’ stato possibile rifornire e guidare gli insorti, con il supporto dall’alto, fino alla conquista di Tripoli e, successivamente, fino alla morte di Gheddafi, ottenendo gli obiettivi strategici di breve periodo. Infine si è costituita un’intesa con nuovi attori come il Qatar con cui è stato possibile ottenere comunione d’intenti e di esecuzione grazie all’attivismo del suo sovrano Al-Thani, forse uno dei pochi casi di interventismo arabo diretto oltre all’impegno saudita in Bahrein. (Game over (?))

 

D’altra parte però l’esperienza libica ha portato anche ad altre ripercussioni, che dominano adesso la situazione locale e non solo e contribuiscono a mantenere dubbi sul raggiungimento degli obiettivi strategici di lungo termine. Dal punto di vista internazionale, l’intervento NATO in Libia è stato giudicato così negativamente da Cina e Russia che le due nazioni non sono più disposte a concedere il loro – seppur silenzioso – beneplacito ad altre situazioni simili, cosa che ha portato al loro veto nei riguardi di soluzioni incisive in Siria. (Ci “veto” doppio) Dal punto di vista locale invece la Libia non ha ancora compiuto quel deciso passo verso la ricostruzione che l’Occidente si aspettava; le differenze tra i vari gruppi armati rimangono notevoli, soprattutto per quello che riguarda la spartizione del potere e delle ricchezze, così come l’interesse a compiere vendette incrociate impedisce per ora un disarmo delle milizie, premessa fondamentale per la pacificazione reale del paese. In tale ottica, avere armato i ribelli ha sicuramente favorito la caduta del dittatore, ma sul lungo periodo continuerà a riproporsi come la maggiore incognita sul futuro del paese e alimentando la possibilità che gruppi armati estremisti possano infine prendere il potere e riportare il paese a essere un nemico piuttosto che il partner economico e politico che tutti auspicano. (Ghedda-fine) E’ per questo che ancora si esita tanto ad armare meglio i ribelli siriani, che presentano la stessa frammentarietà, addirittura acuita in quel caso da serie divisioni confessionali che già in Iraq avevano mostrato la loro esplosività.

 

COSA IMPARARE DALLA LIBIA? – Dunque le lezioni da imparare sono molteplici:

 

  • L’Europa continuerà a produrre politiche contraddittorie finché non avrà una voce sola, così che vi sia comunione d’intenti e di operato nel trattare le crisi esterne. In particolare, gli stati dovranno gradatamente rinunciare all’indipendenza in politica estera per permettere che l’Alto Commissario UE per gli Affari Esteri (attualmente la britannica Catherine Ashton) sia molto più dell’attuale figura vuota.
  • La NATO senza gli USA non possiede sufficiente projection power per influenzare eventi e situazioni molto lontani dall’Europa – soprattutto a causa degli ingenti tagli di budget, recenti e futuri, a meno di non produrre un sistema di difesa europeo integrato che possa ovviare alle mancanze dei singoli stati con sinergie transnazionali più efficienti (Lezioni di Libia)
  • Armare i popoli in rivolta contro dittatori scomodi è un’efficace metodologia per scalzare gli stessi dal potere senza impegnarsi troppo direttamente – ma contribuisce anche ad armare gruppi che potrebbero in seguito rivoltarsi contro i propri benefattori o comunque contribuire a impedire il recupero della sicurezza. Questo è tanto più probabile quanto più è frammentata l’opposizione da aiutare, e quanto meno essa è conosciuta dall’esterno.
  • Perché l’opinione pubblica possa essere pienamente consapevole e, in ultimo, appoggi l’operato militare, devono essere spese energie per spiegare in maniera semplice ed esaustiva al pubblico, generalmente non specialista, le principali questioni operative e politiche dietro a un intervento e al suo svolgimento. Altrimenti il pubblico può essere più facilmente influenzato da disinformazione o informazione superficiale che possono in ultimo creare effetti di sfiducia e diffidenza. (La via d’uscita)
  • L’interventismo del Qatar, mai così attivo come in Libia, costituisce una novità che sembra porre le basi per nuovi contatti e collaborazioni nello risolvere crisi locali nell’area Medio Oriente-Nord Africa. Da un lato questo elemento consente all’Europa di potersi disimpegnare parzialmente da futuri interventi diretti in alcune aree del globo, a tutto favore della riduzione delle spese connesse. Dall’altro però indica anche come l’Europa stia perdendo ulteriormente peso come partner degli USA, che sul lungo periodo potrebbero vedere come più efficaci altri legami, a tutto discapito dell’influenza dell’UE al di fuori dei propri confini.
  • Non sempre chi inizia i conflitti con l’idea di trarne vantaggio poi riesce davvero a farlo come sperava. Francia e Gran Bretagna ipotizzavano di poter rinegoziare gli accordi petroliferi e poter avere un maggiore accesso alle riserve libiche, ma in questo sono state frustrate proprio dall’Italia, che per concedere le proprie basi e dare l’ok all’operazione NATO – il cui quartier generale era a Napoli – ha chiesto e ottenuto che i propri interessi energetici preesistenti fossero rispettati. L’elevato impegno dell’ENI stessa nel finanziare il governo di transizione di Bengasi ha poi tutelato ulteriormente la posizione italiana, come segnalato dal fatto che l’attuale Ministro del Petrolio libico è un ex-dirigente del cane a sei zampe.
  • La caccia a Gheddafi e la minaccia di condurlo comunque a giudizio presso un tribunale (la corte internazionale dell’Aia) che avrebbe potuto condannarlo a morte hanno giocato un ruolo nel prevenire un’eventuale resa del dittatore (Nella testa del Colonnello). Se non si offrono vie d’uscita alternative, per quanto opposte al senso di giustizia comune, nessun dittatore preferirà mai la resa/l’esilio al combattere fino all’ultimo. Per questo ora in Siria l’opzione dell’esilio volontario rimane lasciata aperta.

 

Lorenzo Nannetti

Young Ambassadors Society

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Vi presentiamo con piacere l'iniziativa degli amici dello YAS: non lasciatevi spaventare dalle parole G8 e G20, che possono richiamare alla memoria tediosi meeting internazionali, che hanno per protagonisti facce non sempre simpatiche. Concedetevi il tempo per finire di leggere questo articolo e sarete proiettati in una realtà completamente diversa

COSA: G8 + G20 Youth Summits – Si tratta di vertici internazionali che riuniscono attorno al tavolo di negoziazione studenti e giovani professionisti provenienti dai Paesi facenti parte del G8 (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada, Russia) e del G20 (paesi del G8, più Australia, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Cina, Corea del Sud, India, Indonesia, Messico, Sudafrica e Turchia). Durante il periodo di svolgimento del forum, generalmente della durata di una settimana e con cadenza annuale, i giovani delegati lavorano insieme per cercare di sviluppare e proporre idee per la soluzione dei principali problemi globali, inseriti in un'Agenda attorno alla quale ruotano le negoziazioni. La stesura finale dell'Agenda per i nostri Youth Summits avviene dopo mesi di discussioni e confronti via Skype e Google groups, in cui ogni nazione cerca di far prevalere quelle che per il proprio Paese risultano essere le issues più calde e prioritarie. Dialogo e discussione possono portare alla divisione, ma sempre al raggiungimento di un consensus, che è il principio che regola tutte le negoziazioni e su cui si basa l'intera filosofia degli Youth Summits. Crediamo nella cooperazione e nella condivisione come unici strumenti in grado di farci progredire e di rendere efficienti le decisioni prese. L'AGENDA DI PARIGI 2011 – Possiamo, però, portarvi ad esempio l'Agenda su cui Capi di Stato e Ministri hanno lavorato lo scorso anno a Parigi. Riportarla integralmente richiederebbe un Blog intero a disposizione, ma anche solo alcuni punti possono aiutarvi ad avere un'idea dello spessore e del livello degli Youth Summits:

-Regulating trade and concluding the Doha round;

-establishing the balanced governance of cyberspace;

-handling nuclear and non-proliferation issues;

-reforming the International Monetary System;

-facing «democratic transitions » in the Middle East/North Africa.

(L'intera Agenda e il Final Communiqueè 2011 sono consultabili all'indirizzo http://g8-g20-youth-summits.org).

Il risultato delle giornate di negoziazione e, quindi, le proposte che ne conseguono, sono racchiusi in quello che è chiamato Final Communiqueè, il documento ufficiale firmato dai Capi di Stato e che viene consegnato nelle mani delle alte cariche della nazione che detiene il turno di presidenza dei Summits. Lo scorso anno è stata la volta della Francia, ed il nostro comunicato è stato accolto con grande entusiasmo dal Cabinet del Presidente Sarkozy. Tutto quanto è scritto nel Final Communiqueè non ha potere decisionale, come potete ben immaginare. Serve, comunque, a dimostrare ai Leaders internazionali che i giovani possono e vogliono fare tanto per il loro futuro. Serve a diffondere l’idea che noi abbiamo idee che valgono e che devono essere ascoltate. E’ un tentativo di far sentire la nostra voce, anziché stare a guardare. Questa è una grande differenza che c'è tra gli Youth Summits e i Summits del "grandi". I problemi globali che affliggono la nostra società avranno effetti tangibili sul nostro domani, maggiori per noi che per le generazioni attuali. Per questo motivo, con una visuale più lungimirante,guardiamo agli argomenti di oggi. Ecco perchè noi Delegates decidiamo di lavorare sodo, studiando e preparandoci in vista di un Summit, per far sì che effettivamente, dal confronto costruttivo con i ragazzi degli altri Paesi, possiamo trovare soluzioni concrete a problemi reali, con la viva e convinta speranza che facendo un buon lavoro i Leaders mondiali comincino non solo ad ascoltarci, ma a ragionare sulle nostre proposte.

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WASHINGTON 2012 – Nati nel 2006, i Summits festeggiano quest'anno il loro sesto compleanno. Procedendo cronologicamente, il primo Youth Summits fu ospitato a San Pietroburgo nel 2006, appunto. Poi fu la volta di Berlino, Yokohama, Milano, Vancouver e Parigi. Tuttavia, essi sono stati omaggiati del regalo più importante lo scorso anno. A conclusione delle attività dei summit di Parigi, infatti, il Presidente Sarkozy ha premiato il buon lavoro dei delegati dichiarando ufficialmente i Summits eventi paralleli degli omonimi incontri internazionali dei "Grandi" Leaders mondiali. Quest'anno gli impegni ci porteranno a volare oltreoceano, negli States. America e Messico sono i comitati che co-organizzeranno e ospiteranno gli Youth Summits. Dallo scorso anno le nazioni hanno cominciato a lavorare insieme, riunendosi in un network, chiamato G8&G20 Youth Networks. Ogni Paese ha creato, o potenziato dove già esisteva, un'associazione incaricata di essere il comitato organizzativo responsabile del reclutamento annuale delle delegazioni, della formazione e della preparazione della stessa. Ad esempio, Young Americans for Diplomatic Leadership (USA) e GlobalECO (Messico) avranno quest'anno la presidenza congiunta dei G8 & G20 Summits e anche del Network. Segnalato da: [email protected] 

E’ giunta l’ora

Se le discusse elezioni del 4 dicembre 2011 hanno creato le prime crepe nel sofisticato paradigma che ha permesso al sistema Russia di campare nell’ultimo decennio quelle del 4 marzo 2012, data in cui si saprà il nome di colui che governerà lo Stato più esteso al mondo nei prossimi sei anni, potranno avere la portata di un devastante terremoto, capace di guastare irreparabilmente la macchina del potere, quel gigante dai piedi d’argilla subentrato al PCUS che, fino ad ora, ha arginato e contenuto le forti spinte centrifughe da sempre espresse dalla società russa

 

Da Mosca

UNA POLTRONA PER UNO – Vincerà Vladimir Putin! Non si sa se al primo o al secondo turno. Le ammaestrate televisioni pubbliche stanno facendo il loro dovere e, per non sbagliare, esiste una legge dello Stato, regolante la suddivisione pre-elettorale degli spazi che i mass-media debbono e possono dedicare ai vari candidati, secondo cui non vi sono quote per la formazione politica del Presidente uscente. Come Raimondo Vianello ed Arrigo Sacchi nel 1994, popolari presentatori, sportivi, registi dispensano consigli agli elettori, il severo sguardo del futuro Presidente campeggia vigile su ogni emittente che si rispetti e ogni giorno emergono strani spot che equiparano il voto a Putin a una prima volta con un partner affidabile o rievocano nazionalisticamente i fasti della battaglia di Borodino, in cui peraltro le armate imperiali del Generale Kutuzov batterono in ritirata per andare ad incendiare Mosca privando così di provviste i francesi. Big Brother is watching you, si direbbe. Regolarmente sono inviati alle maggiori testate giornalistiche articoli firmati V. Putin (tenuti in grande considerazione) contenenti analisi, aperture, promesse come quelle sull’ipotetica istituzione di una tassa sul lusso e sul coinvolgimento della popolazione nel processo legislativo mediante internet; di articoli degli sfidanti nemmeno l’ombra. Ma perché tutta questa superflua pianificazione? Putin vincerebbe anche con una normale campagna elettorale. Non ci sono avversari, la piazza non ha un candidato e alla sola vera alternativa, Grigory Yavlinsky, leader del partito riformista e liberale Yabloko, è stato impedito di partecipare alla corsa per questioni procedurali; tutti i candidati eccetto l’oligarca Mihail Prokhorov sono consunti leader di partito che hanno già ampiamente dimostrato fedeltà a Putin nelle passate occasioni per poter restare sulla scena, quanto a Prokhorov molti, in Occidente, lo considerano indipendente visti i suoi conti in banca. Errore grossolano, in Russia più si è ricchi più si dipende dal Cremlino per tutelare la propria ricchezza.

 

I SALOTTI E LA PIAZZA – La battaglia si combatte su più fronti ma l’armata è disunita: filosofi, artisti, scrittori lanciano, frustrati, da lussuose torri d’avorio, le loro intellettuali (e quindi poco comprensibili per la maggior parte dei dimostranti) invettive contro il putinismo; per le strade marciano vicini comunisti, nazionalisti, indigenti delle periferie, ricchi e fascinosi borghesi attenti all’abbinamento scarpe-accessori e muniti di costosissima apparecchiatura fotografica. Alcuni manifestano per i loro ideali, altri per un pugno di rubli in più al mese, altri ancora perchè nella Mosca di oggi manifestare fa tendenza, del resto gli occidentali, modello per i giovani moscoviti benestanti, lo fanno spesso e volentieri. Minimo comune denominatore di queste disarmoniche iniziative sono il malcontento e l’insofferenza verso la classe politica che sta amministrando il paese, nessuna proposta concreta, solo rabbia verso quello che l’avvocato nazionalista Alexey Navalny ha definito “il partito dei ladri e truffatori”. Rabbia dei poveri per dove finiscono i petrodollari, rabbia dei moscoviti benestanti per i supposti brogli elettorali dicembrini, rabbia dei nazionalisti per le troppe attenzioni date al Caucaso e rabbia dei comunisti per le fortune degli oligarchi capitalisti tanto vicini al Cremlino. Vladimir Putin, che è eccellente stratega, sta sfruttando queste spaccature per delegittimare ulteriormente le opposizioni, celebri sono le dimostrazioni in suo favore create ad arte al momento giusto nei luoghi più in vista delle città e l’accostamento degli avversari a fantomatiche cospirazioni statunitensi degne degli anni di Breznev e Reagan. Recentemente aspre polemiche hanno riguardato l’incontro di routine tra i leader di alcuni partiti russi e il nuovo Ambasciatore americano a Mosca e, dal clan del futuro presidente, sono partite minacce di un futuro imponente riarmo per fronteggiare le ingerenze occidentali (nonostante gli arsenali stiano marcendo nei depositi e il Pil della Russia sia non troppo superiore a quello italiano). Probabilmente la vittoria arriverà al primo turno.

 

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NUVOLE NERE SI ADDENSANO – Dopo il voto Vladimir Putin si renderà protagonista di una svolta autoritaria, si tenterà di aumentare pensioni, salari minimi e sussidi per evitare che il disagio dei più poveri si sommi alle richieste di apertura della colta classe media urbana (che rimarranno inascoltate), si apporteranno piccoli correttivi al sistema per tapparne le falle più evidenti (sarà per esempio ripristinata l’elezione diretta dei governatori regionali, che oggi sono scelti a tavolino a Mosca), si reprimerà ogni voce critica troppo pericolosa, scompariranno quei pochi meccanismi apparentemente democratici della prima Russia postcomunista. Con la sua esigua popolazione in rapporto alle sue risorse naturali lo Stato più vasto al mondo sarebbe potenzialmente in grado di consentire ai suoi abitanti standard di vita elevatissimi. I poveri russi sono il 17% della popolazione e nella maggior parte delle campagne poco è cambiato, quanto a stile di vita, dall’epoca imperiale, i lavoratori non qualificati guadagnano lo stretto necessario per sopravvivere e la maggior parte dei pensionati si trova a fronteggiare quotidianamente i medesimi problemi; di qui a poco, se la situazione resterà sostanzialmente immutata, milioni di persone oltrepasseranno la soglia di sopportazione, trattasi di una bomba ad orologeria che potrebbe esplodere molto presto, non c’è margine per un dialogo e la storia ci insegna che i russi, se uniti, non hanno paura della rivoluzione. Se il potere sarà abile nell’applicare il principio divide et impera la situazione resterà statica e il prossimo Presidente manterrà il controllo, in caso contrario sarà caos. Il gioco che si sta giocando è davvero, davvero rischioso.

Il ritorno dell’Impero Ottomano

Il Giro del mondo in 30 caffè 2012 – Il 2011 è stato un anno pieno di clamori non solo per il mondo arabo e islamico, ma anche per la Turchia: Ankara è divenuto un modello di ispirazione per tanti regimi mediorientali nonché un player molto influente negli equilibri regionali e internazionali. Ma come si presenta oggi la Turchia al mondo intero? La tappa di oggi vi porta a conoscere un Paese che potrebbe diventare un’importante potenza regionale, ma che ancora deve decidere come risolvere alcune questioni cruciali per la propria politica estera

 

LA POLITICA “NEO-OTTOMANA” DI ANKARA – La cara e vecchia Anatolia è un Paese che sta affrontando una transizione dalla tradizione kemalista – laica e militare – ad uno Stato che, sotto le spinte di un islam moderato, mira ad esibirsi al mondo come una nazione avanzata e occidentale. L’attuale establishment – incarnato nelle figure di Recep Tayyp Erdoðan (Primo Ministro), Ahmet Davutoðlu (Ministro degli Esteri) ed Abdullah Gül (Presidente della Repubblica) – punta a far divenire la Turchia un Paese moderno e pienamente democratico. Ankara è quantomai in piena evoluzione politica ed economica. Sotto la guida del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) la politica estera turca, basata sulla strategia “zero problemi con i vicini” promossa dal Ministro Davutoðlu, ha cercato di migliorare le relazioni diplomatiche, economiche e culturali e, al contempo, di rivitalizzare i tradizionali legami storico-culturali con tutti i Paesi vicini, assumendo così maggiore dinamismo nel Caucaso e nella regione mediorientale. Sulla base di interessi politici, economici ed energetici, in questi anni il governo turco è riuscito ad intessere una fitta rete di rapporti con i vicini mediorientali, i quali da nemici si sono progressivamente trasformati in partner regionali di rilievo. Insomma, Ankara si candida ad assumere un ruolo di medio-grande potenza regionale ed internazionale usando appunto il successo economico e l’influenza politica come strumenti di soft power per stabilire relazioni pacifiche e vantaggiose con i vicini, senza nascondere le proprie ambizioni “neo-ottomane”.

 

L’APPROCCIO TURCO ALLE RIVOLTE ARABE – Se le rivolte nel mondo arabo, ed in particolare le crisi in Siria e Iran, hanno messo in discussione la politica e le strategie regionali del governo Erdoðan, Ankara ha comunque mostrato una certa flessibilità nell’adattarsi agli eventi e un’evidente abilità nell’inserirsi negli spazi precedentemente occupati da altri player regionali – come ad esempio l’Egitto –, divenendo un protagonista assoluto negli equilibri regionali e un punto di riferimento per i Paesi arabi. In quest’ottica, il ruolo di mediatore/stabilizzatore e il soft power adottati da Ankara sembrerebbero essersi rivelati parzialmente infruttuosi nelle principali questioni di crisi regionale: dai contrasti con Israele, Siria e Cipro, passando per la questione del nucleare iraniano e della polemica con la Francia relativamente al riconoscimento del genocidio degli armeni, fino al “problema” curdo. Inoltre, proprio alla prova del nove delle rivolte arabe, Ankara ha mostrato un certo atteggiamento ambivalente: infatti, se nel caso della Tunisia e dell’Egitto ha prontamente sostenuto le istanze popolari di cambiamento dei rispettivi regimi, nei confronti della crisi in Libia e in Siria ha dapprima mostrato tutta la sua contrarietà a qualsiasi forma di azione diplomatica e/o militare, per poi appoggiare, infine, le opposizioni e le iniziative internazionali nei due Paesi. In particolare, nel caso siriano l’ambiguità turca è stata più evidente per una serie di motivi interni ed esterni: l’estendersi delle rivolte siriane fino al confine meridionale turco, e quindi in pieno territorio curdo, tocca interessi strategici per Ankara, in quanto un possibile intreccio con la “questione curda” – viste anche le nuove ondate di violenze in tutto il Paese –  rischierebbe di far divenire quest’ultima ancor più un problema di rilevanza regionale. Alla luce di ciò, non sorprende che la Turchia nel caso siriano si dimostri più interessata a garantire un graduale cambiamento piuttosto che un regime change che aprirebbe una rischiosa fase d’incertezza anche per la sua stessa sicurezza interna.

 

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L’ATTIVISMO INTERNAZIONALE – Avendo il processo di adesione all’Unione Europea subito un brusco rallentamento, il principale teatro di azione politica turca è divenuto principalmente il Medio Oriente. La politica estera estera turca, basata non più soltanto sul rapporto privilegiato con UE e USA, risulta sempre più caratterizzata da un attivismo in ambito internazionale che ne rende difficile un’affidabile e sicura prospettiva strategica. Tale attivismo lo si è nota, appunto, nell’ambito delle crisi con Siria e Iran, ma anche nella sfera dei rapporti con Israele, come dimostrato dalla crisi diplomatica per il noto caso della “Mavi Marmara” fino alle recenti dichiarazioni populiste contro Tel Aviv rilasciate da Erdoðan nel tour di settembre in Tunisia ed Egitto. L’atteggiamento di Ankara, dunque, appare mutevole a seconda degli scenari che gli si presentano e le sue capacità di adattamento e di flessibilità alle innumerevoli questioni di rilevanza internazionale paiono essere dettate più da ragioni ed esigenze di “Realpolitik” che da una precisa ambizione politica.

 

UN MODELLO “TURCO” RIDIMENSIONATO – Nonostante lo sviluppo e la prosperità economica, il Paese rimane in lotta con il proprio passato e rischia anche nell’immediato futuro di rimanere in trincea se non si riuscirà a risolvere i propri problemi attraverso un processo di pacificazione nazionale promosso dalla politica. Restano molte le questioni spinose (libertà sociali e individuali, nuova Costituzione, derive populiste, etc.) e molte quelle legate alla “causa curda”, con evidenti conseguenze anche sugli equilibri regionali. Pur avendo dimostrato determinazione nel perseguire il proprio interesse nazionale, il Paese degli Stretti si è mostrato indeciso e contraddittorio nelle proprie azioni di politica estera. Pragmatismo e attivismo potrebbero non bastare per far fronte alle innumerevoli sfide regionali ed internazionali del nuovo anno.

 

Giuseppe Dentice

Silenzio, si vota!

Questa settimana l'Europa torna alla ribalta con alcuni appuntamenti fondamentali come il Consiglio per gli Affari Esteri, con le restrizioni su Damasco, e soprattutto il Consiglio Europeo di Giovedì e Venerdì. Nel frattempo, Hugo Chávez lotta a Cuba contro l'ennesimo tumore maligno, mentre gli elettori repubblicani in America fremono per sapere se avranno un vero candidato entro Novembre. In Africa, il Senegal apre le urne e si prepara per gli scontri di piazza che seguiranno e continua in Nigeria la lotta senza quartiere tra Stato e Boko Haram. In Asia Kabul si ribella alle forze internazionali mentre la Russia è chiamata a pronunciarsi sul destino dell'eterno Vladimir Putin. Il Medio-Oriente rimane però la regione più instabile con Al Assad invoca la svolta democratica, ebbene sì, e il duello Israele-Iran che apre i suoi orizzonti.

EUROPA

Lunedì 27 – Si riunisce a Bruxelles il Consiglio per gli Affari Esteri presieduto dall'Alto Rappresentante Catherine Ashton, sul tavolo le questioni aperte in Siria e in Egitto. I ministri degli esteri dell'Unione saranno chiamati a decidere nuove misure sanzionatorie nei confronti del regime di Damasco tra cui il congelamento degli assets internazionali della Banca Centrale siriana e il blocco dei voli cargo diretti verso il paese. Preoccupa anche la situazione nel Caucaso meridionale russo dove gli scontri della scorsa settimana hanno provocato circa trenta morti nelle regioni del Daghestan e della Cecenia. Al termine del meeting ci sarà spazio per l'EU-Tajikistan Coperation Council, dove potrebbero essere promossi nuovi programmi di sviluppo per l'economia dell'Asia Centrale.

Martedì 28 – I capi di Stato e di Governo dei 27 paesi membri si riuniscono nel Consiglio in formazione Affari Generali per delineare il programma del prossimo Consiglio Europeo dell'1 e 2 Marzo. Lo sguardo sulla situazione dell'economia europea sarà garantito dal dibattito sulle conclusioni tratte dall'Indagine della Commissione sulla Crescita economica e sui punti evidenziati nella lettera d'intenti sponsorizzata pochi giorni fa da Mario Monti e David Cameron. Infine verrà analizzata in dettaglio la situazione politica di Belgrado, in linea con le conclusioni del Consiglio Europeo di dicembre, per decidere se conferire o meno alla Serbia il titolo di paese candidato dell'Unione.

Giovedì 1-Venerdì 2 – La due giorni che attende i leader europei si preannuncia carica di tensioni e di promesse per il futuro del vecchio continente. Proprio durante il summit verrà firmato infatti il trattato della discordia, il c.d. "Fiscal Compact", rifiutato da Regno Unito e Repubblica Ceca. La programmazione politico-economica pr la seconda parte del semestre si aprirà con le misure d'implementazione del patto Euro Plus e dell'integrazione fiscale tra i 27 paesi e l'Eurozona. Ma non sarà l'economia la protagonista degli incontri di Bruxelles, dato che sono in vista incontri della massima importanza come il G8 di maggio e il G20 di giugno e la tanto attesa Conferenza "RIO+20" sulle sorti dell'ambiente globale. Anche la questione serba troverà la sua logica conclusione quando la candidatura di Belgrado verrà esaminata definitivamente dai membri dell'Unione. AMERICHE Lunedì 27-Martedì 28 – Il Presidente venezuelano Hugo Chávez sarà sottoposto a Cuba all'ennesimo intervento chirurgico, sempre riguardante un tumore maligno nella zona pelvica come nel giugno 2011. Nonostante le dubbie condizioni di salute, il lìder di Caracas si è detto convinto di partecipare alla campagna elettorale contro Henrique Capriles Radonski in vista delle presidenziali di ottobre. A causa dei periodici viaggi obbligati nell'isola di Castro, il contatto diretto con la madrepatria sarà garantito da un pool di funzionari, inoltre l'assenza è stata autorizzata dal Parlamento così come prescritto da una legge ad hoc. Martedì 28, Venerdì 2 – Altra tappa del caucus repubblicano in vista dell'appuntamento decisivo di martedì prossimo, gli elettori del G.O.P. di Arizona, Michigan e poi Washington, sono chiamati a scegliere il loro uomo contro B. Obama. Secondo alcuni sondaggi promossi dal Washington Post e dal canale satellitare ABC, Rick Santorum riscuoterebbe i consensi dell'elettorato femminile conservatore, oltre che quello scontato del tycoon Rupert Murdoch. Proprio il Michigan potrebbe rappresentare una svolta nel duello personale tra Romney e Santorum, lo stato dell'auto sarebbe sulla carta promesso al candidato mormone, un'altra sconfitta di misura potrebbe far vacillare le sue pretese sulla Casa Bianca. Intanto dalla pancia repubblicana emergono voci di un possibile stallo alla Convention di Tampa dell'estate prossima, l'appuntamento per l'incoronazione del candidato G.O.P alle presidenziali. Se dovesse essere Santorum il verdetto delle urne, sono già pronti alcuni candidati di riserva tra cui il figlio nonchè fratello presidenziale Jeb Bush, ex governatore della Florida. BRASILE – Doppio imbarazzo per le autorità del governo di Brasilia per due incidenti che coinvolgono la missione esplorativa antartica nella base Comandante Ferraz sull'isola di King George. Secondo il quotidiano O estado de Sao Paulo il governo di Dilma Rousseff avrebbe cercato di insabbiare il naufragio di una cisterna contenente all'incirca 10mila litri di gasolio che ora si troverebbe a 40 metri di profondità. Il cargo era diretto proprio verso la stessa base in cui nella mattinata di domenica un corto circuito avrebbe causato un incendio ferendo alcuni membri del personale militare distaccato. In realtà è proprio il naufragio a causare preoccupazoni ed incertezze, secondo il Trattato sull'Antartide infatti, in materia di protezione ambientale, occorrerebbe attuare misure immediate d'emergenza per evitare danni irreaparabili. Il Brasile, come tutti gli stati impegnati in attività sperimentali nel continente, risulta tra i membri del patto e potrebbe subire ritorsioni e proteste dagli altri firmatari. AFRICA SENEGAL – Nella giornata di domenica i 5,3 milioni di aventi diritto si sono recati alle urne per partecipare ad una delle elezioni più attese dell'anno nel continente africano. Il Presidente ottuagenario Abdoulaye Wade, nonostante il limite di legislature stabilito per legge, parteciperà alla competizione mentre l'idolo del movimento M23, cantante e impreditore mediatico Youssou N'Dour è stato escluso dalla Corte Suprema. Il duello rimane quindi quello tra Wade e l'eterno rivale Moustapha Nasse, mentre l'inviato scelto dall'Unione Africana per seguire la crisi politica, fissa a due anni la scadenza del mandato in gioco. Impossibile fissare una data certa per la comunicazione dell'esito delle urne, quello che è certo è che l'opposizione a Wade non si farà attendere nelle contestazioni violente di piazza, che potrebbero portare il paese sull'orlo del baratro. CONGO – Nonostante le accuse di colonialismo che giungono per altre questioni, il Regno Unito conferma pienamente il suo impegno per la cooperazione allo sviluppo nei paesi africani. Grazie a vari accordi diplomatici ed intese finanziarie, Londra erogherà verso Kinshasa più di 200 milioni di dollari per garantire alla RDC un apparato di polizia efficiente ed autonomo e una rete stradale capace di soddisfare le esigenze di una delle economie più promettenti della regione. L'aiuto di Scotland Yard, la fornitura di tecnologie avanzate sommate a 60 milioni di aiuti potrebbero garantire al Congo una forza di polizia efficace nel controllo del territorio. Il piano per dotare il paese di circa 1700 km di strade è invece volto a sostenere il trasporto di merci e materie prime fondamentali per l'industria in forte crescita. NIGERIA – E' destinato a crescere il bilancio dei morti nella lotta continua tra Governo centrale e la setta islamico-estremista Boko Haram che si batte contro il cristianesimo e i costumi occidentali. L'ultimo atto della tragica storia si ferma a Domenica con un attentato suicida avvenuto all'interno di una chiesa di Jos, cittadina nella zona centrale del paese. Non si è fatta attendere la rivendicazone dell'atto da parte dell'ormai noto portavoce del movimento, tale Abul Qaqa, che nella dichiarazione ha richiamato gli omicidi contro i musulmani degli ultimi anni. In un occhio per occhio ancestrale, la comunità cristiana di Jos si è riversata nelle strade prendendo di mira i passanti di fede musulmana provocandone la morte con un linciaggio di massa.

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ASIA Lunedì 27-Venerdì 2 – Il Ministro degli Affari Esteri Guido Terzi di Sant'Agata è in partenza per un tour orientale a tappe forzate che lo porterà in soli 5 giorni in India, Vietnam e Singapore. Nonostante la visita fosse in programma da mesi, il suo significato è stato sicuramente soggetto alle emozioni dell'ultim'ora a causa dell'intricata vicenda che tiene i due marò italiani lontani da casa. In India Terzi incontrerà il suo omologo Somanahalli Mallaiah Krishna, il primo ministro Manmohan Singh e il reesponsabile per il commercio e l'industria. In Vietnam, economia emergente in via di riforma, il titolare della Farnesina parteciperà all'inaugurazione di un nuovo complesso industriale della marca italiana Piaggio. Singapore, con la sua gestione iper-efficiente delle autorità statali sarà una tappa fondamentale per promuovere il rilancio italiano, nonchè l'industria aeronautico-militare nostrana, settore per cui il piccolo stato spende il 3,8% del PIL. Domenica 4 – Dopo settimane di attesa, proteste di piazza, discorsi altisonanti e accuse reciproche la data fatidiche per le presidenziali in terra di Russia è finalmente vicina. Più di 100 milioni di votanti si recheranno alle urne per confermare l'esito scontato dell'appuntamento che potrebbe garantire a Vladimir Putin un regno incontrastato sul paese per altri 6 anni. Inutile pronunciarsi sulle chance di successo dei soliti sfidanti, il comunista nostalgico Zyuganov, il socialdemocratico populista Mironov, il liberale Zhirinovsky e l'indipendente Mikhail Prokhorov. In un'elezione che si propone come un referendum sulla figura politica dell'attuale premier, l'opposizione disunita sembra costretta a raccogliere i voti di protesta della classe media, che probabilmente non saranno sufficienti a battere l'eterno candidato di Russia Unita. AFGHANISTAN – E' un fuggi fuggi generale quello che vede come protagonisti i consiglieri diplomatico-militari di Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti dalle istituzioni centrali di Kabul. Non sono risultate sufficienti le scuse ufficiali del Presidente Obama per il Corano dato alle fiamme in una base militare americana, la popolazione afghana ha infatti legato il gesto, simbolico ma gravissimo, ad anni di violazioni e miserie seguiti all'occupazione militare del 2001. In tali condizioni di scontro ed alta tensione sembra impossibile la permanenza in regime di sicurezza minima delle truppe internazionali presenti sul territorio, visto che le stesse forze di sicurezza afghane, sembrano ritorcersi contro coloro che ne hannpo favorito la creazione. Sarebbe stato proprio un agente dei servizi segreti di Kabul a provocare la morte dei due militari americani nella sede del Ministero dell'Interno, l'episodio ricorda l'uccisione dei 5 soldati francesi in seguito alla diffusione del video in cui alcuni marines insultavano i cadaveri di talebani uccisi in azione. MEDIO-ORIENTE IRAN – Pessime notizie per l'Italia da Teheran, secondo l'agenzia di stampa Fars, il Ministero del Petrolio avrebbe rifiutato la consegna di circa 500mila barili di greggio nei confronti della Grecia, costringendo alcune petroliere a tornare in patria a secco. Sei paesi europei si erano detti fiduciosi di continuare a gestire contratti di lungo periodo con l'Iran nonostante l'embargo petrolifero previsto per il rpimo di Luglio. Intanto la missione degli ispettori AIEA lascia forti dubbi sulla natura del programma nucleare di Teheran, proprio quando l'intelligence americana cerca di calmare le acque con interventi diretti sulla stampa nazionale. Londra intanto si dice sicura di un imminente attacco israeliano e sarebbe pronta ad unire le proprie forze con Tel Aviv, mentre Vladimir Putin si dice profondamente preoccupato per la questione. ISRAELE – In vista del summit alla Casa Bianca del 5 marzo e del Comitato per gli affari israelo-americani che si terrà a Washington nello stesso periodo, Benjamin Netanyahu è atteso ad Ottawa per un incontro col primo ministro Steven Harper. La visita in programma per venerdì 2, segue di poco il tour mediorientale di alcuni ministri chiave del governo Harper, che hanno incontrato i colleghi israeliani e palestinesi promuovendo i negoziati per la pace. Secondo indiscrezioni raccolte da The Canadian Press, il discorso tenuto dal Ministro degli Esteri John Baird alla sessione di settembre dell'Assemblea Generale ONU sarebbe stato modificato per nascondere il sostegno canadese alla lotta per lo stato palestinese. Nonostante l'appuntamento sia solo un appoggio per la maratona a stelle e strisce della prossima settimana, Netanyahu sa bene che il Canada è un partner fondamentale dell'Alleanza Atlantica e le sue forze armate sono stimate nel panorama internazionale per competenza ed organizzazione. SIRIA – Nonostante le premesse fossero le peggiori possibili, sembra aver riscosso una discreta affluenza il referendum proposto dal governo siriano per dotare il paese di una nuova Costituzione e indire elezioni politiche entro 90 giorni. Damasco, con punte nel quartiere cristiano di Bab Touma, e Aleppo le città simbolo dell'appuntamento elettorale accolto con manifestazioni giubilanti e code ai seggi aperti. Nelle aree ribelli invece la repressione è continuata incessantemente col bilancio dei morti giunto a 31 secondo l'Osservatorio Siriano per i Diritto Umani. Mentre l'emiro qatarino Al Thani e il Ministro degli esteri tedesco Westerwelle si dicono contrari ad appuntamenti elettorlai in tale clima, il Segretario di Stato USA Hillary Clinton si è detta pronta a sostenere una road-map democratica nel paese, contestando l'ipotesi di un intervento militare. Continuano il negoziato pressante del Comitato Internazionale della Croce Rossa e della Red Crescent siriana per garantire ai feriti e ai civili una tregua giornaliera e un effettivo accesso alle cure mediche. Tra tre settimane è prevista la prossima puntata della Conferenza degli Amici della Siria, la sede sarà stavolta Istanbul, con la Turchia che si dimostra in prima linea nell'impegno umanitario al confine con Damasco. Fabio Stella [email protected]